Ci sono alcuni prodotti che meriterebbero più attenzioni. Da parte del pubblico, delle sale, degli operatori. Realizzare oggi, attraverso una struttura privata, un prodotto come Biancaneve dei Piccoli Briganti (in collaborazione con la Magnoprog), ha un qualcosa di miracoloso. Dieci attori, costumi, scene. Cosa ne uscirebbe se questa sporca decina avesse a disposizione i mezzi dell’incensato Filippo Timi? Certo che in alcuni passaggi una maggior disponibilità di strumentazione, o qualche interprete più presente avrebbe migliorato il livello del pacchetto. Si passa, con eguale fervore, da scene inquietanti e terrificanti, come tutte le favole nordiche sanno esprimere, fino a quelle più bizzarre e ridicole.
Ed è qui che il capocomico, e regista, Maurizio Lombardi (grande esperienza: ha lavorato anche con Gabriele Lavia, Zuzzurro e Gaspare, Ugo Chiti) prende il largo, sventaglia le sue chanche, sbaraglia con le sue fiches sul piatto. Destrezza e prontezza in ogni scena che gioca con vari stili teatrali, virando spesso sul versante comico senza però trascendere mai nell’abisso dell’amatore, o men che meno del trasandato o del trascurato. Dalle coreografie alle caratterizzazioni dei vari cliché della tremenda fiaba (che non scordiamocelo parla di amore e morte, di sangue e di vecchiaia, di perdita e di abbandono) tutto è curato. Felice anche la scelta di alternare tre diverse Biancaneve (si distingue Anna Manuelli; tutte ottime nel canto quando si spazia al musical con canzoni originali o celebri ma dal testo travisato e tradito che porta al sorriso dalle rime farcite di rimandi e doppisensi e calembour nascosti) che si ritrovano nella scena finale districandosi tra i rovi appuntiti di tutto il ragionamento sotterraneo che incede, senza indugiare, sul tema dell’identità, della consapevolezza, del perdono di sé e degli altri.
Se la madre della piccola che dà il nome alla tragedia a lieto fine, in una prima scena bianchissima, muore invocando l’epidurale, se arrivano addirittura i tre Re Magi dopo aver sbagliato strada, ed evidentemente anche favola millenaria, se l’incontro tra Specchio-Roberto Caccavo, dalle facce e dai silenzi manifesti e conclamati, e la Regina è uno scontro a fuoco, un match di colpi bassi e un continuo corpo a corpo dialettico pungente, se il Re saluta impostato ed impomatato muovendo la manina come la Regina Elisabetta, se Bianca spara con pistole ad acqua, se la filastrocca preferita della matrigna (un fantastico Lombardi in nero su tacchi vertiginosi con piume di struzzo ricordandoci dive come Jacqueline Kennedy, o, per stazza, il Gassman junior del Riccardo III) è Botulino, allora, capirete che la storia si instrada e si incanala verso quell’intrattenimento, delicato e ricercato, che, a volte, raramente, fa del teatro una buona passione solo all’apparenza disimpegnata (come in questo caso) che comunque può aprire a riflessioni anche più recondite e profonde.
Nella storia entrano di soppiatto, lateralmente come a far visita, citate a profusione come zucchero a velo, ora Cappuccetto Rosso adesso Cenerentola, Pocahontas oppure Ariel, in un grande pastiche che, per i cultori prima Disney, oggi di Dreamworks e Pixar, fa riemergere dal fondo il primo Shrek. I due cacciatori, stupidi ed ingenui come i ladri di Mamma ho perso l’aereo, oppure gli animaletti della foresta, parodizzano anni, facce e situazioni di gag tra tv e palco con rimandi, espliciti o interiorizzati dal senso comune, che divertono senza sciogliersi in facili banalizzazioni.
Ma i sette nani (che si fanno anche i selfie), vestiti con tute blu da operai (difficili i tempi oggi per metalmeccanici e affini tra articolo 18, Ilva, scioperi, Renzi, Marchionne, cortei e manganellate), con catenoni al collo dorati in perfetto stile rap (quando ancora non c’era l’hip hop) dei Public Enemy, con nomi come Sballalo, dedito a sostanze chimiche (sorge spontaneo Breaking Bad), Ansiolo, incline alla farmacologia post stress, fino al meraviglioso Furiolo (Alessandro Scaretti vero mastice e addensante della commedia) che ricorda nel nome, nella postura, nei tic e nella voce nasale, o negli occhiali spessi, il personaggio di Bianco, Rosso e Verdone: puntuale, pignolo fino all’esaurimento, minuzioso, preciso. Le musiche slittano da Mina fino al refrain de Lo squalo o al jingle de Il pranzo è servito, si pesca nel contemporaneo anche con Pina Bausch per un Principe Azzurro dalle tendenze non così “mache”.
Quando il pop è up. A cavallo tra dicembre e gennaio, al Teatro Goldoni ed alla Pergola, andrà in scena il loro nuovo Peter Pan.
Firenze