“Anche se divento grosso, anche se batto tutti, qualunque cosa faccio, io non potrò mai combattere con Joe Louis”. Toro Scatenato non se ne fa una ragione, pensa di essere il migliore e maledice le sue mani così piccole. A nulla servono le parole del fratello Joey, interpretato da Joe Pesci, che prova a spiegare perché un peso medio non può vedersela con un massimo, il più forte per giunta. Meno realistico di un film, Vladimir Klitschko non si è mai fatto convincere da nessuno al passo indietro. Doctor Steelhammer, così è soprannominato il 38enne pugile ucraino, non ha intenzione di prendere alcuna pausa. Anzi, dopo aver brutalizzato Kubrat Pulev una settimana fa, ha già trovato nuove ambizioni. Ad Amburgo, davanti a 13mila persone, gli sono bastate cinque riprese e un poderoso gancio sinistro per mandare gambe all’aria l’avversario bulgaro.
La diciassettesima difesa iridata del titolo è pratica sbrigata. Il record di tutti i tempi, 25 vittorie consecutive da regnante dei massimi, è proprio di Joe Louis e ora l’ucraino potrebbe avere successo dove Robert De Niro non riusciva a accettare di avere fallito. Tre sconfitte in 63 incontri ufficiali (nel 1996 fece suo anche l’oro dei Super Massimi ad Atlanta) e l’incapacità di perdere negli ultimi dieci anni fanno pensare che il traguardo non sia irraggiungibile. Tutt’altro: rispetto ai tempi del Bombardiere nero i contender di prestigio latitano. Da anni il ‘dottor Martello d’acciaio’ riassume nella sua corpulenta figura il titolo dei massimi Wbo, Ibf e Wba, oltre che quello Ibo. Si tratta, nel cervellotico sistema che gestisce i ring internazionali, di tre delle quattro federazioni principali a livello mondiale. Gli manca solo la corona Wbc, la quarta organizzazione riconosciuta a livello internazionale.
Per completare una riunificazione mai riuscita da che esistono pugni e guantoni dovrà schiantare il canadese Bermane Stiverne e ricollocare la cintura nell’armadio di famiglia. Fino allo scorso anno il titolo era nelle disponibilità di suo fratello, Vitalij Klitschko in arte Doctor Iron fist. Difficilmente equivocabili per fama e stazza, entrambi un inverno fa erano in piazza Maidan, imbrattati dallo spray degli estintori. Vladimir, che ha convertito alla causa la fidanzata e attrice americana Hayden Panettiere, non ha mai taciuto l’antipatia per Vladimir Putin, ma continua a fare il suo mestiere. Il collega ‘Pugni d’acciaio’, invece, ha vinto le elezioni di maggio con la sua Alleanza Democratica (Udar) e ora è sindaco di Kiev. Di cinque anni più vecchio del fratello, Vitalij ha monopolizzato a sua volta il pugilato mondiale per una quindicina di anni prima di dare l’esclusiva alla politica. Sul ring torna di continuo, ma solo per alzare al cielo il pugno del fratello dopo le vittorie.
Lontano dal Cremlino i fratelli ucraini hanno sempre faticato a trovare rivali. Vitalij ebbe un battesimo di botte il 21 giugno del 2003, quando Lennox Lewis lo mandò ko alla sesta ripresa. A fine match il 38enne futuro hall of famer dichiarò che era tempo di farsi da parte e, simbolicamente, consegnò lo scettro che aveva difeso allo sconfitto. Da quel giorno in poi i match di Klitschko il vecchio hanno spesso dato la spiacevole sensazione della formalità. É la stessa atmosfera che si respira quando sale sul quadrato Vladimir, che con lo stretto parente ha condiviso più di uno sfidante. Negli ultimi tempi il bulgaro Pulev, finito al tappeto dopo pochi secondi e poi generoso a trascinarsi fino al quarto gong, è risultato uno degli avversari più ostici per Doctor Steelhammer. Non sarà semplice per il suo staff individuare nove avversari di livello che possano rendere credibile il percorso verso il record di Joe Louis.
Il materiale umano in circolazione lascia perplessi: una soluzione potrebbe essere il derby ucraino con Vyacheslav Glazkov oppure l’inglese Anthony Joshua, oro di Londra per la rabbia di Cammarelle, al più l’americano Deontay Wilder, che proverà a contendere il titolo Wbc a Stiverne prima che entri nell’orbita di Kiev. Sono tre atleti solidi, tre medaglie olimpiche, ma per resistere ai pugni dell’uomo dell’Est non paiono abbastanza. Tanto meno lo è Shannon Briggs, che insegue Klitschko in giro per il globo nella speranza di essere massacrato come avvenne nel 2010. La comparsa della figura dello stalker dei campioni è una relativa novità nel mondo del pugilato, che non fa che attestarne lo stato di cattiva salute. Gli irriducibili che si ostinano alla visione dei match di boxe, soprattutto quelli delle categorie di peso più elevate, si trovano davanti a confronti impari oppure a infiniti allacciamenti tra giganti senza particolare talento. I primi a interrogarsi sono gli americani, che vantano il re del business Floyd Mayweather, ma non producono da troppo tempo un campionissimo.
Negli Stati Uniti fiorisce il dibattito sulle cause del declino della disciplina, imputato di volta in volta alla pigrizia e allo spirito di conservazione dei giovani, alla sovraesposizione mediatica di basket e football, al richiamo scintillante del wrestling. La nostalgia colora di leggenda non solo i miti in bianco e nero come Liston, Ali, Holmes o Frazier, ma anche i più recenti mattatori del ring quali Tyson, Holyfield, Lewis. Era una boxe diversa, dove numerose variabili entravano in competizione. I tempi d’oro di Don King, che è ancora sulla piazza, ma a 83 anni non pare più capace di dare una scossa all’ambiente nonostante carisma e capigliatura siano sempre gli stessi. I fan che non si accontentano delle consuete demolizioni di Vladimir Klitschko devono togliere la polvere ai vecchi Vhs per sperimentare di nuovo le emozioni che lo sport oggi non sa più dare. Oppure tornare bambini, infrangere le leggi del tempo e pensare a come se la caverebbe il dominatore ucraino contro la scontrosa ferocia di Foreman o contro le derive cannibali di Mike Tyson. Ne prenderebbe tante perché non ci sono più i campioni di una volta, tutti finirebbero per pensare. Prima di ripiombare nella depressione.