Per capire quel 62,3% di astensione registrato in Emilia Romagna, oggi sarebbe stato utile entrare in una classe delle scuole superiori o in un’aula universitaria. Altro che passare le serate in un circolo del Pd o nella sede della Lega a consolarsi con “tuttavia abbiamo vinto” o “abbiamo raddoppiato i voti”. Chi si è candidato alle regionali, che abbia guadagnato una poltrona o meno, dovrebbe chiedere ai giovani quale immagine hanno della politica, dei loro sindaci, degli uomini che dirigono i partiti.
Ci troveremmo di fronte ad una risposta ormai ovvia: “Sono tutti uguali”, “Rubano tutti”, “Non pensano a noi”. Frasi alle quali chi occupa una poltrona si è ormai abituato. Si è assuefatto. Chi non può permettersi di voltare le spalle a queste considerazioni siamo noi: maestri, professori, quelli che entrano ogni giorno in classe e hanno davanti loro, tra i banchi, futuri cittadini. Ragazzi e ragazze che tra otto, cinque, tre anni andranno alle urne. Giovani che già potrebbero andare al seggio.
Le analisi di queste ore si sprecano: erano le regionali, non c’era il traino delle nazionali, è colpa della crisi economica, è travasato il voto nella Lega, è un voto di protesta. Va tutto bene ma dobbiamo andare più in profondità. Dobbiamo andare oltre l’analisi. A me, che faccio il maestro e il giornalista, tocca capire come può accadere che in un’aula universitaria su 250 ragazzi e ragazze, solo uno o due abbiano alzato la mano alla domanda: “Chi di voi legge un quotidiano?”.
Provate ad andare in un circolo del Partito Democratico del capoluogo emiliano, Bologna. Magari una domenica mattina. Eccolo: in un angolo la foto di Berlinguer. Un paio di bandiere nel cantuccio. Un rotolo di manifesti accartocciati sul tavolo. Qualche storica copertina de “L’Unità” appesa al muro. Una decina di ultra sessantenni che credono di poter risolvere i problemi del Paese parlando della corrente civatiana o renziana, del socialismo, del marxismo, del femminismo, del razzismo degli uni o degli altri (mai sentiti cosi tanti “ismi” come in una riunione di partito). Tre, forse quattro, sotto i 40 anni e un paio di 25enni destinati ad organizzare l’ennesimo dibattito, a volantinare, a fare il banchetto.
I volti di quegli universitari non li trovi al circolo, non li trovi al partito. L’astensionismo è lì non alle urne.
Il voto di queste ore è il frutto di due scelte: una scuola che non si occupa più di Politica, che non spiega nemmeno più cosa siano la Camera e il Senato, il potere legislativo ed esecutivo. Una catena di montaggio dell’istruzione che non apre più le porte al dibattito, che non porta il mondo in classe ma preferisce lasciarlo fuori. Eppure non basta saper leggere, saper fare di conto per essere un cittadino.
L’altra scelta è quella della politica: per nulla preoccupata dell’astensionismo, per niente allarmata dell’assenza dei giovani nei partiti, impegnata a creare un sistema raffinato e subdolo, “se sei un iscritto, posso sempre darti una mano”, consapevole del fatto che la crisi occupazionale riguarda soprattutto i più giovani. Ogni volta, al termine di una tornata elettorale mi tornano in mente le parole di Majakovskij: “Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada…”.