L'oncologo in una intervista a La Stampa: "Vorrei essere ricordato come uno che ha contribuito a migliorare la qualità della vita, soprattutto delle donne"
Vorrebbe essere ricordato “come uno che ha contribuito a migliorare la qualità della vita, soprattutto delle donne. Dopo secoli di maschilismo, le donne stanno prendendo più potere in tanti campi, nella sanità, nei media, nella magistratura. È una fortuna: la donna è pacifista, conciliatrice, l’uomo è violento e aggressivo. Si va verso una maggiore parità e il prezzo da pagare è anche una più bassa attrazione fra i sessi. Andiamo verso un’umanità bisessuale. Non è detto sia un male”. Umberto Veronesi, 89 anni il 28 novembre, luminare dell’oncologia, ex ministro della Sanità, solo pochi giorni fa è stato protagonista di un duello tra scienziati con Antonino Zichichi sulla esistenza di Dio, e oggi in una intervista a La Stampa ricorda la sua unica e vera battaglia: quella contro il cancro e il dolore.
Il medico, che durante la sua carriera ha operato 30 mila donne, ricorda la sua prima volta quando agli inizi degli anni ’50 dovette eseguire una mastectomia bilaterale con rimozione dei muscoli del torace. Era quella la tecnica per rimuovere il male. Era quella prima che ideasse la quadrantectomia, intervento che ha permesso a generazioni di donne di non subire una mutilazione spaventosa. “Vivo da sempre una situazione di schizofrenia. Sono l’uomo della speranza, però immerso ogni giorno nel dolore. Devo trasmettere fiducia e ottimismo, ma nel profondo sono angosciato, tormentato, sento un nichilismo alla Nietzsche, porto dentro di me la fossa comune di tutti i pazienti che ho perso. Sono ermafrodita, in senso intellettuale: un corpo da uomo con una mente femminile” dice l’oncologo.
Quando pensò il nuovo intervento però non fu facile: “Esposi l’intuizione ai miei colleghi e ricevetti accuse feroci, fui considerato un ciarlatano che voleva scardinare i dogmi per fare carriera e soldi. Ci fu chi disse che volevo sacrificare vite umane per diventare famoso. Ma non mi arresi, conclusi la sperimentazione nell’isolamento e fra dubbi atroci. Furono anni bui. Poi arrivò la vittoria scientifica, il mio lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine e rilanciato nel 1981 dal New York Times in prima pagina. Fu la svolta: altri media ne parlarono, le donne andavano dai medici col giornale in mano chiedendo che salvassero loro il seno”. Da quel girono però molto è cambiato e Veronesi può contare su un successo: negli ultimi 15 anni le sue pazienti sono guarite nel 94% dei casi. Anche se è la diagnosi precoce l’arma più forte: “Uno studio dello Ieo ha scoperto che in caso di tumore impalpabile la guarigione arriva al 99%. Se ogni donna facesse regolarmente mammografia, ecografia, risonanza magnetica, il problema sarebbe risolto. Ma non è così semplice, dipende da dove vivi, dai costi, dall’organizzazione”.
Veronesi però non è stato mai stato solo colui che cura un organo: “Dico che bisogna tornare alla “Medicina della persona”. Per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per cosa gioisce e soffre… Penso spesso che la parola cancro vada eliminata per il potere paralizzante di cui ho parlato. Tumore è già meglio. Oppure neoplasia. Allo Ieo quasi non usiamo più carcinoma”. Alla domanda se la sconfitta del cancro arriverà prima o poi Veronesi ha una certezza: “Io non la vedrò, ma succederà. Fra qualche anno cureremo tutti i tumori. Lo faremo grazie alla diagnosi precoce, per ora abbiamo farmaci risolutori solo per alcune forme di tumore”.