La relazione dei magistrati contabili evidenzia che i destinatari del contributo sono troppo numerosi e spesso "non producono alcun valore sociale". Nel mirino, poi, i Centri di assistenza fiscale legati ad associazioni: possono influenzare la scelta del contribuente a favore della "casa madre". In generale, tutto il sistema va riformato
Sono ben 50mila le associazioni che beneficiano del 5 per mille, il versamento che i contribuenti possono destinare agli enti del terzo settore e della ricerca sanitaria e scientifica o alle attività sociali del Comune di residenza. Troppe per la Corte dei Conti, che in una relazione sulla “destinazione e gestione” di quella quota dell’Irpef chiede una selezione più rigorosa dei destinatari. Evidenziando come nell’elenco figurino anche fondazioni legate a formazioni politiche, associazioni che fanno capo a categorie professionali (notai, avvocati, militari) e altre talmente piccole e sconosciute che ogni anno ricevono il 5 mille solo da uno o due cittadini. Secondo i magistrati contabili è indispensabile una semplificazione e stabilizzazione del sistema, a cui a dire il vero il governo sta già mettendo mano nell’ambito della riforma del terzo settore delineata da un ddl licenziato dal Consiglio dei ministri in estate. Ma non solo: la Corte accende anche un faro sul ruolo di “intermediari in potenziale conflitto di interesse” che l’Agenzia delle entrate dovrebbe sottoporre a controlli stringenti per “tutelare la libera scelta dei contribuenti”. Il riferimento è ai Centri di assistenza fiscale (Caf) legati ad associazioni beneficiarie del 5 per mille, come le Acli e il Movimento cristiano dei lavoratori. Che godono di un evidente vantaggio perché i Caf possono “indirizzare” a loro favore le donazioni.
Insomma, tante criticità per un sistema a cui dalla sua istituzione, nel 2006, sono stati destinati 2,6 miliardi di euro. E a cui il governo, nella legge di Stabilità, ha stabilito di destinare per il prossimo anno una cifra massima di 500 milioni, rispetto ai 400 di quest’anno. Decisione salutata con soddisfazione dal mondo del non profit, che da tempo denunciava lo scandalo del “5 per mille dimezzato”. Infatti, per esempio, l’importo attribuito dai contribuenti nel 2011 è stato di 487 milioni, ma alle associazioni ne sono stati effettivamente “concessi” dallo Stato solo 395. Una “violazione del patto tra Stato e cittadini”, scrive esplicitamente la Corte, motivata solo dalla necessità di “dirottare su altre finalità” il denaro “per motivi di bilancio“. Il tetto, dunque, va definitivamente eliminato.
A parte il quadro normativo confuso e instabile (il 5 per mille non è mai stato stabilizzato, per cui ogni anno il governo deve rinnovare la previsione), la Corte dei conti sottolinea che il coinvolgimento di diverse amministrazioni nella gestione comporta che si debbano riaprire continuamente i termini per la presentazione delle domande di ammissione. Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per esempio, è incompetente nella compilazione degli elenchi degli ammessi al beneficio, che gli vengono trasmessi dal’Agenzia delle entrate. Di conseguenza, la verifica del possesso dei requisiti è poco efficace. Servono poi modifiche per ovviare al cronico ritardo nei pagamenti. Basti pensare che gli ultimi elenchi pubblicati sono quelli relativi ai contributi del 2012.
La relazione della Corte contiene anche la classifica delle associazioni più gettonate dai contribuenti: al primo posto, come è noto, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro con 55,4 milioni (dati 2011), seguita da Emergency (11 milioni) e Medici senza frontiere (8,7 milioni). Ma a preoccupare sono soprattutto “le piccole”: “Tra le onlus e gli enti del volontariato – scrivono i magistrati contabili – quasi 9 mila enti ottengono un contributo inferiore ai 500 euro e oltre mille non hanno ottenuto nemmeno una firma, accentuandosi, così, la frammentazione e la dispersione delle risorse”. In più “molti beneficiari, pur non avendo finalità di lucro, non producono alcun tipo di valore sociale”. Il comunicato cita diverse situazioni paradossali: nell’ultimo anno sono stati rilevati più di mille enti “che non ricevono alcuna scelta, dimostrando, così, di non essere di interesse nemmeno per i propri membri e sollevando dubbi sulla loro reale consistenza”. I giudici hanno rilevato inoltre la disparità di disciplina per le varie categorie: per esempio i beneficiari della ricerca sanitaria ottengono l’iscrizione negli elenchi una tantum e per sempre, diversamente dagli enti delle altre categorie.
Infine, i magistrati contabili spiegano la loro ricetta per migliorare il sistema delle donazioni: “Rigorosi controlli e frequenti verifiche sulle iniziative promosse ed attuate, che non potrebbero che avvantaggiare ed incentivare gli enti che svolgono le loro attività nel pieno rispetto della normativa vigente”.