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Cipro: la giornalista che cerca i desaparecidos

Cipro tenta rinascita di città fantasmaIl mio viaggio nei luoghi della memoria rimossa di Cipro, prosegue in un centro commerciale di Nicosia. Già in un centro commerciale: seduto ad una tavola calda, tra carrelli della spesa che fanno avanti e dietro e sciami di impiegati che si danno il cambio per la pausa pranzo.

Sono lì in compagnia di un gruppo di ciprioti qualunque; tra di loro nessun diplomatico, nessun rappresentante istituzionale, nessuno storico, nessun patriota. Solo gente comune (come qualcuno di loro tiene a dire: non greci o turchi, semplicemente ciprioti) che da anni cerca di capire, cosa sia successo ai propri cari scomparsi nel decennio di violenze seguite all’indipendenza dell’isola nel 1964.

Nonostante la Cipro internazionale di oggi sia ben diversa dalla comunità di quell’epoca lontana, le ferite di allora non sono affatto rimarginate e quella tragedia collettiva continua ad essere un tormento anche per le generazioni odierne. I turisti, il benessere, e gli investimenti non hanno lavato via le macchie di quando a Cipro si usciva per comprare il pane e si rischiava di non tornare più a casa.

Fosse comuni, omicidi arbitrari, omertà dei residenti, le istituzioni che offrivano copertura qualora i responsabili fossero della loro stessa etnia: è successo tutto nel decennio a cavallo tra la fine del colonialismo e la spaccatura in due dell’isola. Queste storie sono documentate in maniera capillare da Sevgul Uludag, una giornalista turco-cipriota che scrive per il quotidiano turco Yeniduzen e per quello greco Politis. Anche lei è seduta a quel tavolo, insieme ai familiari dei desaparecidos di Cipro e mi racconta del lavoro che da oltre un decennio porta avanti sul suo (seguitissimo) blog: ha sostanzialmente creato una linea verde (in senso telefonico) per raccogliere informazioni che possano portare all’individuazione di fosse comuni o di luoghi dove vittime di quegli anni sono state seppellite.

Arianna Huffington e Sevgul Uludag

Lei e le famiglie a quel tavolo non cercano colpevoli ma vogliono solo dare pace ai cari che da quasi mezzo secolo aspettano una degna sepoltura. Come ho già avuto modo di raccontare in un post di qualche settimana fa, dal 1964 ai giorni dell’invasione turca del nord dell’isola, sono mancati all’appello oltre 2mila ciprioti, 1508 greci e 493 turchi: oltre mila desaparecidos su una popolazione di 800 mila abitanti.

Un numero enorme. Il Comitato per le Persone scomparse a Cipro, un organismo che rappresenta gli sforzi ufficiali delle due comunità di chiudere il capitolo delle persone scomparse negli anni dell’odio, già svolge questo compito ma ha pesanti limiti di tipo politico e statutario: può muoversi solo nel perimetro dei 2001 scomparsi ufficiali e non può, in alcun caso, investigare sulle cause del decesso.

Entrambe le parti preferiscono, evidentemente, tenere ben ordinati negli armadi i loro scheletri. Sevgul non ha questi limiti; i suoi due cellulari, uno con numero turco, l’altro con numero greco, squillano di frequente e voci che seguendo la coscienza hanno deciso di squarciare il velo di omertà su una pagina orribile del loro passato, danno indicazione su fosse comuni e sepolture improvvisate. Ma bisogna fare presto: il tempo passa, i protagonisti di allora non sono più giovanissimi, la memoria sfuma.

E a volte, laddove è sepolta una famiglia trucidata sorge oggi una strada o un hotel, altre volte le indicazioni sono tanto vaghe da costringere a giorni o settimane di ricerca senza fortuna. E con gli anni, superata la metà dei resti mortali ritrovati, la ricerca si fa sempre più difficoltosa. Però è una storia che va scritta, dice Sevgul, e se non avessimo cominciato, un pezzo del nostro passato sarebbe rimasto nell’oblio.

Per evitare strumentalizzazioni politiche, in un ambiente dove anche il semplice scambio di informazioni di polizia deve passare per i buoni uffici della comunità internazionale, ha evitato di istituzionalizzare il suo lavoro e di accettare finanziamenti esterni: nessuno paga il blog, nessuno la paga per il lavoro che svolge per la comunità. E nessuno la indennizza per le minacce che ha ricevuto fino ad oggi e per le telefonate minatorie: in una piccola comunità spesso si preferisce lavare i panni in casa. Anche quelli della memoria.

E non è un caso che la Commissione congiunta sia stata istituita nel 1981 ma abbia iniziato le riesumazioni solo nel 2006. Oltre all’affetto della gente che la sostiene, Sevgul proprio ieri ha ricevuto riconoscimento anche a livello internazionale: l’Unione Europea l’ha insignita del premio “Cittadino Europeo conferito a rappresentanti della società civile. Nel suo caso non poteva essere più meritato.

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