Al vaglio degli inquirenti laziali ci sono alcune dichiarazioni rilasciate dall'ex magistrato, oggi avvocato della famiglia di Attilio Manca, l'urologo di Barcellona Pozzo di Gotto trovato privo di vita nella sua casa di Viterbo l’11 febbraio del 2004: aveva accusato gli investigatori viterbesi di avere condotto un'indagine piena di “inerzie e coperture”
Un avviso di garanzia recapitato ad Antonio Ingroia per notificargli l’iscrizione nel registro degli indagati della procura di Viterbo. Questo l’oggetto della conferenza stampa indetta dallo stesso ex procuratore aggiunto di Palermo, che è indagato per calunnia: al vaglio degli inquirenti laziali, infatti, ci sono alcune dichiarazioni rilasciate dallo stesso Ingroia, oggi avvocato della famiglia di Attilio Manca, l’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto trovato privo di vita nella sua casa di Viterbo l’11 febbraio del 2004. Nudo, con il naso fratturato, una siringa a terra con tracce di eroina e due buchi sul braccio sinistro, per gli inquirenti la morte di Manca fu solo un caso di overdose: il medico però era notoriamente mancino, e si sarebbe iniettato la droga sul braccio destro, esattamente l’opposto rispetto a come fu trovato il cadavere. Ingroia, che rappresenta la famiglia insieme all’avvocato Fabio Repici, aveva quindi accusato gli investigatori viterbesi di avere condotto un’indagine piena di “inerzie e coperture”, con il solo obbiettivo di “depistare” l’inchiesta sul caso dell’urologo morto.
“Avevo fiducia nella magistratura per questo pensavo che il tam tam della procura di Viterbo fosse da collegare alla riapertura delle indagini” ha detto l’ex toga, accompagnato dai genitori di Manca, mostrando ai giornalisti l’avviso di garanzia ricevuto dalla procura laziale, dove il prossimo 1 dicembre sarà interrogato dal pm Renzo Petrosselli. “Un avviso di garanzia così- ha detto l’ex pm – lo può fare solo un analfabeta del diritto o chi è in malafede. Prima il pm Renzo Petroselli, che dovrebbe essere laureato ma da quello che scrive non sembrerebbe, ha chiesto l’esclusione dei familiari dal processo, poi è arrivata la novità. La procura di Viterbo ha trovato il colpevole del caso Manca: il sottoscritto. Ma un avvocato non può essere accusato per quelle che dice nei processi, esattamente come i pm. In passato sono stato accusato di calunnia da Bruno Contrada, da Marcello Dell’Utri, da Silvio Berlusconi, dai figli di Provenzano: Petrosselli è in buona compagnia. Devo decidere se denunciarlo solo al Csm o anche penalmente”.
Due settimane fa, il tribunale di Viterbo aveva fatto decadere la costituzione di parte civile presentata dai familiari di Manca, dato che il reato d’omicidio colposo era caduto in prescrizione: alla sbarra in questo momento c’è soltanto Monica Mileti, accusata di avere venduto la droga all’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto. “La procura di Viterbo diffama continuamente Manca bollandolo come un tossicodipendente: in realtà la sua morte è collegata alla latitanza di Bernardo Provenzano, e quindi alla Trattativa Stato mafia: chiederò alla procura di Palermo di aprire un fascicolo”.
Nei mesi precedenti alla morte, infatti, Manca si sarebbe recato a Marsiglia, proprio nello stesso periodo in cui Provenzano era in cura in una clinica della stessa città per operarsi di tumore alla prostrata: secondo la ricostruzione della famiglia sarebbe stato Manca ad assistere l’operazione del boss corleonese, e per questo motivo sarebbe stato poi assassinato. L’indagine della procura di Viterbo però escludeva la presenza di Manca a Marsiglia tra l’estate e l’autunno del 2003 con un’informativa della squadra mobile di Viterbo. “Il dirigente della squadra mobile – ha spiegato Ingroia – è Salvatore Gava, condannato a 3 anni per i fatti della Diaz: ha firmato false informative sulla presenza di molotov alla Diaz”. Sul caso Manca è attualmente aperto alla procura di Roma un fascicolo modello 45, quello previsto per gli atti non costituenti reato. Recentemente anche il killer dei Casalesi Giuseppe Setola aveva collegato l’omicidio Manca all’operazione di Provenzano: poi però ha fatto marcia indietro scegliendo di non collaborare più con la magistratura.