E' il titolo del nuovo libro di Riccardo Iacona, in uscita per Chiarelettere. "Quelli che pagano le donne rimangono nelle loro macchine, nel buio delle strade, davanti agli schermi dei computer, consumatori indistinti"
Esce per Chiarelettere “Utilizzatori finali”, di Riccardo Iacona. L’autore lo presenta mercoledì 26 novembre alle 18,30 alla libreria Ibs di via Nazionale 254/255 a Roma. Ecco un’anticipazione
Questo libro è strettamente legato all’ultimo che ho scritto, Se questi sono gli uomini (Chiarelettere 2012). Già allora, durante le presentazioni in varie parti d’Italia, avevo annunciato ai lettori che era mia intenzione andare avanti nel racconto. E soprattutto più in profondità, per cercare di capire meglio cosa c’è attorno alla questione della violenza sulle donne. Ora, nessuno mette più in dubbio il carattere endemico del fenomeno: basta leggere le statistiche e, purtroppo, anche le pagine dei giornali che quasi ogni giorno riportano casi di donne uccise dai propri compagni o dagli ex. Ma i numeri ci dicono che il territorio in cui questi comportamenti sono consentiti è vasto, che non solo sono tanti, troppi, gli uomini che usano concretamente l’arma della violenza, dell’intimidazione, dell’oppressione psicologica, quelli capaci di “alzare le mani”, ma sono ancora di più i cosiddetti “simpatizzanti”, quelli che le botte non le danno, ma vorrebbero che la donna fosse sottomessa e, se potessero, qualche schiaffo lo mollerebbero anche loro.
A questi si aggiungono i “negazionisti”, quelli che pensano che il tema non esista, che anzi la realtà sia radicalmente diversa – sono le donne a opprimere gli uomini – e che se si fa chiasso attorno al femminicidio o alla violenza di genere è solo colpa della lobby femminista, aiutata da una serie di maschi traditori, spesso apostrofati come “froci”. Ma rimane la questione: quanto grande è quella parte di maschi nel nostro paese a cui piace come pazzi “tenere sotto” le donne, da ogni punto di vista, quello sessuale prima di tutto? Per rispondere occorre immergersi fin dentro la pancia dei maschi italiani, sentirne tutti i borbottii e sopportarne tutti i miasmi.
C’è un luogo dove le pance si esprimono al meglio ed è quello della prostituzione, l’unico territorio dove gli uomini sono contenti delle donne che incontrano. Ci sarà un motivo, o no? Una cosa è certa: gli uomini italiani che vanno a prostitute non sono pochi, al contrario sono milioni. I numeri parlano di nove milioni di prestazioni sessuali a pagamento all’anno e di una platea di due milioni e mezzo di clienti. Una stima cui si è arrivati moltiplicando il numero delle prostitute che operano in Italia per il numero di clienti al giorno, ma che tiene conto solo delle prostitute di strada – settantamila secondo il dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio – e lascia fuori dal calcolo quelle che lavorano a casa e quelle che utilizzano i siti internet per negoziare incontri, tariffe e prestazioni. Di questa nuova frontiera dello scambio sessuale a pagamento si sa poco, anche se la cronaca ci dice che si tratta di un mercato in enorme espansione, parallelo a quello della strada, con numeri altissimi. Basta andare su internet per rendersene conto: digitate sul motore di ricerca del vostro computer la frase “cerco donna” e otterrete più di dieci milioni di pagine e migliaia di siti specializzati. Adesso siate ancora più espliciti e digitate “cerco escort”: i risultati saranno un milione e centinaia i siti specializzati.
C’è un altro limite alle ricerche degli studiosi: prostituirsi non è un reato e neanche pagare una donna per fare sesso. Solo l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione lo sono. Così le statistiche dei reati non ci dicono nulla sulla dimensione del fenomeno e gli uomini che pagano le donne rimangono nelle loro macchine, nel buio delle strade, nelle case, davanti agli schermi dei computer, senza nome e cognome, consumatori indistinti. È talmente difficile individuarli che anche chi si occupa di questo fenomeno da anni ne ha incontrati pochissimi, e tra questi si contano sulle dita di due mani quelli disposti a raccontare la loro storia.
Claudio Magnabosco, autore nel 2002 del bellissimo libro Akara-Ogun e la ragazza di Benin City (Jaca Book), in cui ha raccontato il suo incontro con una giovane prostituta nigeriana poi diventata sua moglie, conosce da vicino i clienti italiani. Nel suo impegno a favore delle donne prigioniere del mercato sessuale, li ha incontrati sulle strade o in gruppi di discussione che ha organizzato in tutta Italia per cercare di sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità nella tratta delle giovani donne straniere che riempiono a migliaia i marciapiedi della penisola. Tuttavia anche lui, che fa questo lavoro da dieci anni, oggi fatica a parlare con i clienti: “I gruppi che un tempo riuscivo ad animare in tutte le regioni, oggi sono diminuiti” mi ha scritto quando l’ho contattato. “Non ho persone che si rendano disponibili a parlare in pubblico, come un tempo succedeva e, quindi, ho pochissime possibilità di trovare degli uomini che si facciano intervistare in quanto clienti. Sto cercando di motivarne alcuni, indicando loro l’utilità dell’intervista, ma è dura”.
Ecco, questo è il buio che avevamo davanti quando abbiamo iniziato, talmente denso da scoraggiare chiunque volesse cercare di addentrarsi. Con questo libro abbiamo provato a squarciarlo un po’ e a intravedere qualcosa oltre. L’abbiamo fatto con Liza Boschin, Federico Ruffo ed Elena Stramentinoli, giovani giornalisti che sono cresciuti con me nella squadra di Presadiretta. Non è un racconto facile da mandare giù, ma è quello che siamo. E questo è quello che abbiamo visto.
Da Il Fatto Quotidiano del 25 novembre 2014