Chiara (nome di fantasia), è arrivata nel nostro Paese nel 1999 insieme alla famiglia dalla quale viene allontanata dopo avere subito abusi. Ha dovuto tornarci per questioni burocratiche. Ma ora rischia di essere espulsa dal Paese
Dopo quindici anni in Italia rischia di essere rimandata in Senegal. È la storia di Chiara (nome di fantasia), 22enne arrivata nel Biellese nel 1999 con la famiglia. Ora potrebbe finire in un Centro di identificazione ed espulsione prima di essere rimpatriata: “Non ho più nessun ricordo del Senegal – racconta lei -. Lì ho solo un nonno anziano e una zia che non conosco”. In tutto questo c’è un altro problema: la questura le ha dato trenta giorni di tempo per lasciare l’Italia durante i quali è obbligata a stare con la famiglia da cui e è stata allontanata all’età di 14 anni per le molestie e maltrattamenti.
“Dai 10 anni ho subito abusi da parte di un mio fratello. In prima superiore avevo attacchi d’ansia e sono stata ricoverata dieci volte in due mesi”, spiega. Un giorno l’epilogo: i genitori scoprono che un giorno ha marinato la scuola con le amiche. “Mio padre mi ha fatto portare in uno scantinato. Mia madre e mio fratello mi tenevano e lui mi ha frustato con una cintura di cuoio”. Il motivo è sempre lei a raccontarlo: “Siamo musulmani e mio padre è molto severo sulla cultura e dice che l’educazione occidentale non va bene”. Nonostante i dolori il giorno dopo torna a scuola, ma sviene. All’ennesimo ricovero in ospedale si sveglia, racconta tutto a una psicologa e interviene un’assistente sociale. Chiara finisce in una comunità per minori dalla quale esce una volta maggiorenne.
Fuori di lì la ragazza aspira a una vita autonoma e con un’educatrice va al Consolato a Milano per ottenere il passaporto: “Hanno insistito per farmi riconciliare coi genitori – racconta -. Per la nostra cultura parlare di quelle molestie è tabù e mi sono sentita dire che forse la colpa era mia”. Dopo un po’ ottiene finalmente un passaporto, un permesso di soggiorno e può lavorare come barista. Nel 2013, quando le scade il visto, torna dai genitori per recuperare i documenti necessari all’ottenimento della carta di soggiorno, ma il passaporto sparisce. Inizia così un nuovo calvario per averne una copia, ma nel frattempo la situazione si aggrava.
Nel febbraio 2014 la polizia la ferma ad Alessandria per un controllo e lei ha con sé solo la ricevuta della domanda per la carta di soggiorno. La questura cittadina fa accertamenti e le danno un foglio di via: “I miei genitori avevano dichiarato di non volere più la mia responsabilità e anzi speravano mi rimandassero in Senegal”. Lei sta tranquilla perché aspetta il passaporto e la carta di soggiorno, fino a quando viene chiamata in questura il 3 novembre. Pensa sia la fine dei problemi, ma altri ne iniziano. Le notificano un decreto di espulsione in trenta giorni, durante i quali deve restare nella casa dei genitori. Il 14 novembre ottiene il passaporto, lei prova a rimediare, ma nel frattempo il padre la caccia di casa e il giorno dopo la polizia le ritira il passaporto.
Martedì 25 novembre Chiara, assistita dall’avvocato Raffaele Folino, si presenta di fronte al giudice di pace di Biella per chiedere l’annullamento dell’ordine. La paura più grande è finire in un Cie: “La legge mi dice che per tre anni non potrei rientrare in Italia e dopo dovrei richiedere un visto, ma non è detto che l’otterrò per via dell’espulsione”. Qui invece potrebbe continuare a vivere con il suo ragazzo e potrebbe ricominciare a lavorare: il suo ex datore di lavoro le ha già promesso l’assunzione appena avrà di nuovo tutte le carte in regola.