Indegno!

La recente campagna elettorale e la discussione sui risultati ha fatto passare per un semplice fatto di cronaca tra gli altri qualcosa che, invece, avrebbe dovuto richiamare l’attenzione di tutti. Si tratta della condanna di Francesco Storace a sei mesi per vilipendio del Capo dello Stato. Storace è ora il leader di un piccolo partito che si ispira, ironia della sorte, ad una esperienza storica dalla quale è nato l’attuale codice penale, con i suoi reati di opinione contro la personalità dello Stato.

Ma poco importa, in fondo: Storace ha ragione a parlare di un “reato anacronistico”.

Ricordo brevemente i fatti. Storace aveva, nel corso del 2007, criticato i senatori di diritto e a vita ed, in particolare, Rita Levi Montalcini, definendoli la “stampella” del Governo allora in carica. Il primo a replicare era stato Napolitano, il quale, aveva accusato Storace di indegnità: “mancare di rispetto, infastidire, tentare di intimidire la senatrice Rita Levi Montalcini, una donna all’alto sentire democratico, che ha fatto e fa onore all’Italia, è semplicemente indegno”.

Il giorno seguente, sul suo sito internet, Storace aveva risposto alle accuse di Napolitano: “Non so se devo temere l’arrivo dei corazzieri a difesa di Villa Arzilla, ma una cosa è certa: Giorgio Napolitano non ha alcun titolo per distribuire patenti etiche. Per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione familiare, per evidente faziosità istituzionale, è indegno di una carica usurpata a maggioranza“.

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Per queste parole, Storace è stato accusato e condannato per vilipendio, nonostante la Giunta delle Autorizzazioni del Senato avesse ritenuto insindacabili le opinioni espresse da Storace, ai sensi dell’art. 68 comma primo della Costituzione. La Corte Costituzionale, nel 2013, ha infatti annullato la delibera adottata dal Senato, in quanto le dichiarazioni di Storace “nei confronti del Presidente della Repubblica, oltre a presentare una indubbia eccentricità rispetto a ciò che possa intendersi per “opinione”, non presentano alcuna attinenza con atti funzionalmente tipici riferibili allo stesso parlamentare” (Corte Cost., sentenza n. 313/2013).

Questa storia è ridicola, ridicola è la condanna a 6 mesi di carcere per aver espresso l’opinione che Napolitano sia indegno della carica che ricopre (dopo, peraltro, che Napolitano stesso aveva tacciato di indegnità Storace per le sue parole contro la Montalcini). Il delitto di vilipendio, l’offesa all’“onore” del Presidente della Repubblica è farsesco, per non dire fascista, contrario ad ogni principio democratico.

Eppure nessuno si muove, nonostante non sia la prima volta, negli ultimi mesi, che le offese a Napolitano vengano represse dalle zelanti iniziative della magistratura. Basti pensare all’inchiesta nei confronti del deputato del M5S Giorgio Sorial per vilipendio del Capo dello Stato, nonché il precedente del 2013, quando, per lo stesso reato, furono aperte indagini su ventidue cittadini che si erano espressi contro Napolitano sul blog di Beppe Grillo.

È mai possibile, dunque, che nessuna forza politica presenti in Parlamento un disegno di legge semplicissimo che abolisca il reato di vilipendio, con un semplice articolo: «l’art. 278 c.p. è abrogato». Lo avevo già scritto, e qui lo ripeto: il rispetto per le istituzioni democratiche non si ottiene processando i cittadini che non credono più – e non senza ragione, si direbbe – in esse. È un loro diritto, non un reato.

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