La Cina deve raggiungere il proprio picco nell’utilizzo di carbone entro il 2020, se vuole adempiere all’impegno di porre fine alla crescita delle emissioni per il 2030. Lo dice l’Istituto di Ricerca Energetica (Ire), un think tank che fa capo alla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, l’organismo che guida la trasformazione dell’economia e della società cinesi.
Per raggiungere l’obiettivo, bisogna stare sotto il tetto dei 4,1 miliardi di tonnellate al momento del picco del 2020, cioè circa il 13 per cento in più rispetto ai 3,6 miliardi bruciati l’anno scorso. Per la prima volta, Pechino si è impegnata in maniera vincolante ad abbattere le proprie emissioni in uno storico accordo sul clima stretto con gli Usa a margine del vertice Apec della scorsa settimana. Ha anche promesso di aumentare fino al 20 per cento la quota di combustibili non fossili nel proprio mix energetico entro lo stesso 2030.
Si consideri che il carbone conta ancora per il 70 per cento circa nel mix energetico cinese. Secondo i calcoli dell’IRE, Pechino, l’Hebei, Tianjin e lo Shandong, cioè le aree più inquinate del Paese, devono tagliare il proprio consumo di almeno 220 milioni di tonnellate entro il 2030. La sola capitale dovrebbe ridurre il proprio utilizzo di carbone del 99 per cento (per arrivare a meno di 200mila tonnellate). Le altre tre zone dovrebbero effettuare tagli del 27 per cento. Da parte loro, Shanghai, lo Zhejiang e il Jiangsu, cioè le aree più sviluppate della costa orientale, dovrebbero ridurre il consumo di 85 milioni di tonnellate entro il 2030. Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi, il cuore dello sviluppo cinese deve però cominciare a tagliare i consumi subito. È ciò che i ricercatori dell’Ire stanno cercando di spiegare ai funzionari locali, che ragionano invece con altre priorità in testa.
La professoressa Ran Ran, dell’Università del Popolo di Pechino, spiega che i quadri di provincia sono incentivati a boicottare le politiche ambientali perché non è grazie a quelle che fanno carriera, bensì, nell’ordine: aumentando il Pil; attuando per bene le politiche di sicurezza (cioè evitando “incidenti” e atti destabilizzanti); realizzando misure di carattere sociale (alloggi, educazione, etc). L’ambiente è collocato in fondo. Si capisce quindi perché continuare a tenere aperta una acciaieria che dà lavoro sia dal loro punto di vista più importante che chiuderla per ragioni ambientali. Da qui, le molte Taranto cinesi. E così, oltre al bastone (la campagna anticorruzione), bisogna escogitare qualche carota: da tempo, si stanno sperimentando metodi di valutazione dei funzionari basati su una diversa gerarchia di priorità.
Va detto che, se il governo cinese si è impegnato formalmente con gli Usa, significa che può farcela. In Cina, di solito, si ratifica ciò che sta già succedendo. John Russell, managing director di North Head, spiega per esempio che il consumo di carbone a Pechino è già diminuito del 7 per cento nel corso del 2014 e che la capitale e l’Hebei intendono vietare del tutto la vendita e la combustione in sei distretti entro il 2020. Sarà inoltre a breve proibito l’utilizzo di combustibile ad alta percentuale di zolfo su scala nazionale. Si stanno chiudendo un po’ ovunque o multando le centrali elettriche a carbone e intanto si promuove l’utilizzo del solare (il nuovo obiettivo è di portare la quota di fotovoltaico a 13Gw, dai 10 stabiliti precedentemente). Sul fronte dei trasporti, la municipalità di Pechino sta imponendo nuovi standard sui carburanti.
Queste sono solo alcune misure di un pacchetto complesso, che attacca il problema da diverse angolazioni: industria, trasporti, catena di distribuzione. Ma la chiave resta strutturale: trasformare la Cina da una economia industriale a una dei servizi. Il vertice Apec, in questo senso, è stata una grande prova generale, con una settimana di cielo azzurro e inquinamento a livello zero grazie a fabbriche chiuse nel raggio di duecento chilometri, traffico limitato e incentivi ad “andare in vacanza”. Pechino era meravigliosa e la gente continua a parlare del cielo “blu Apec”. Sospirando.
di Gabriele Battaglia