Cinquantasei arresti a Napoli, dove un gruppo di falsari è stato sgominato dai carabinieri. Era noto in tutta Europa e faceva parte del cosiddetto “Napoli Group“, sigla che include undici associazioni a delinquere ed a cui, secondo gli inquirenti, è riconducibile il 90% degli euro falsi nel mondo. Come ha riferito il procuratore del capoluogo partenopeo, Giovanni Colangelo, sono stati eseguiti 29 provvedimenti di custodia in carcere, 10 ai domiciliari e 5 di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. A questi si aggiungono 12 provvedimenti di divieto di dimora e tra i destinatari c’è anche Domenica Guardato, la mamma della piccola Fortuna – vittima di abusi, morta il 24 giugno scorso dopo essere caduta nel vuoto a Caivano – sulla cui morte è aperta un’inchiesta che ipotizza l’omicidio.
I componenti della banda erano in contatto con esponenti della criminalità organizzata di vari Paesi europei, cui davano lezioni di contraffazione spostandosi da un Paese all’altro. Le banconote venivano spese non solo in Europa, ma anche in Algeria, Tunisia e Senegal. Francia, Spagna, Germania, Romania, Bulgaria, Albania, Senegal e Marocco i Paesi più colpiti. Ciascuna delle associazioni che componeva il gruppo, molto temuto dalla Bce, era specializzata in un compito: dallo stoccaggio al trasporto alla spendita al minuto delle banconote. Nel corso dell’operazione sono state scoperte una stamperia ad Arzano (Napoli) e una zecca a Gallicano (Roma). La banda, ha spiegato il Nucleo falsificazione, ha osato addirittura stampare una banconota da 300 euro, taglio che non esiste: banconota poi spacciata in Germania.
Dalle indagini non sono emersi elementi che riconducano l’attività a clan camorristici, anche se in un primo momento questa possibilità era stata ipotizzata. La competenza a occuparsi del reato di associazione a delinquere finalizzata alla produzione e alla spendita di banconote false, hanno spiegato Colangelo e il pm della Dna Maria Vittoria De Simone, dovrebbe comunque essere delle Direzioni distrettuali antimafia. Secondo i magistrati, che hanno sollecitato agli organi legislativi la modifica della norma attuale, ciò consentirebbe di rendere le inchieste sui falsari più efficaci e meglio coordinate.
L’indagine su Napoli Group è nata nel 2012. Da allora, in due anni sono state arrestate in flagrante una trentina di persone e sono stati raccolti gli elementi che hanno indotto il gip Dario Gallo a emettere le ordinanze cautelari. Sequestrate 5.500 banconote e monete false di vario taglio per un totale di 1 milione di euro circa. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e dai sostituti Giovanni Conzo (Dda) e Gerardina Cozzolino (Procura di Santa Maria Capua Vetere).
Il gergo della banda – Indicavano il dollaro con i termini “cosariello”, “ambasciata” e “l’americano”. Banconote e monete venivano designate con altri nomi, anche nel tentativo di depistare gli investigatori in caso di intercettazioni. Le monete, in particolare, venivano indicate come “scarpe”, “pavimenti”, “cartoline” e “gnocchi”. La banda, oltre ai soldi, falsificava anche ‘gratta e vinci’ e marche da bollo. Come spiegato dagli inquirenti, il “Napoli group” aveva ottenuto “il controllo completo del mercato internazionale mediante la distribuzione di rilevanti quantitativi di denaro falso immesso in Italia e in ogni parte del mondo”.
La mamma di Fortuna – Quando i carabinieri sono arrivati a casa sua Mimma Guardato pensava fosse per qualche novità legata alla morte della sua piccola Fortuna. “E invece mi hanno detto che ero destinataria di un divieto di dimora, che dovevo lasciare casa. Ma io con questa cosa dei falsari non c’entro assolutamente nulla”, ha detto all’Ansa. “Sto andando dal mio avvocato Gennaro Razzino per cercare di capire cosa è successo, cosa sta succedendo e perché io sono stata chiamata in causa in questa vicenda – aggiunge – so solo che quando ho visto i carabinieri ho pensato alla mia piccola Fortuna, non certo ad una vicenda del genere”. A chi, poi, le chiede se questa vicenda possa in qualche modo essere legata al suo ex marito, attualmente detenuto nel carcere di Secondigliano, Mimma risponde: “Ci siamo lasciati nel 2009, non so neanche la ragione per la quale è in carcere”.