Il teatro lombardo, soprattutto milanese, si presenta all’Italia nell’annata dell’Expo casalingo. Sesta edizione della vetrina del teatro per le produzioni che diverranno scena nel 2015. “Next” è il prossimo, il futuro che verrà.
265.000 euro, da Fondazione Cariplo e Regione Lombardia, ed il supporto di Agis, i finanziamenti a disposizione da suddividere tra le quaranta compagnie (sulle 46 che hanno presentato il bando) che si sono esibite nei tre giorni di kermesse. Tre i luoghi: il Teatro Franco Parenti, l’Elfo Puccini, il Teatro Litta (sul palco principale pioveva). Poco più di un quarto di milione di euro da far cadere a pioggia tra i partecipanti: da 3.000 euro per gli studi più incerti ai 10.000 per quelli che già presentavano punte d’eccellenza. Premettendo che nessuna regione, neppure la grande e dinamica e produttiva Lombardia, può esprimere e reggere quaranta nuove produzioni l’anno di qualità, premettendo che andrebbero divisi per settore le proposte tra prosa, danza e teatro ragazzi perché insistono su pubblico, festival, operatori differenti, ma anche separate le nuove proposte dai big, premesso tutto questo possiamo dire che ve ne racconteremo che una minima parte, quelli che più ci hanno colpito, cinque su quaranta, non un gran bottino di guerra.
Dalla prima giornata al Parenti “Vecchi per niente”, proprio del teatro di casa, quattro anziani frontalmente azionano i loro rallentati e imbiancati corpi in una leggera coreografia da seduti. Ci dicono che gli acciacchi, i tremori, la smemoratezza non sono così belli e poetici come vorrebbero farci credere la pubblicità e l’introduzione della definizione “quarta età. Che la vecchiaia sia bellezza è una boutade sacrosanta per mitigare la paura della fine. Prossimi agli ottanta si mettono in relazione, con ironia e un fil rouge tragico d’impotenza, con gli animali “che si lasciano andare”, che non vengono forzatamente sottoposti all’accanimento terapeutico. Vengono qui in mente “Le 5 nonne” di Virgilio Sieni o Giulio D’Anna che danza con il padre in “Parkin’son”, ancora gli “Uomini e Donne” senior di Maria De Filippi o “Scena Madre” di Abbondanza Bertoni. “NERDS” invece è l’anagramma usato dai Filodrammatici nella doppia valenza di “sfigato” oppure la patologica gastrite di riflusso: sulla scena due coppie che mai s’incrociano perché contemporaneamente nello stesso spazio ma provenienti da dimensioni temporali differenti: Darwin e signora, e vittima e carnefice. La parodia ben presto prende piede in questo mix tra l’800 ed i giorni nostri. Lo scienziato e la moglie si becchettano come Raimondo e Sandra. Sono fantasmi gli uni per gli altri: curiosità alle stelle.
Ombre cupe si distendono dalla penna di Francesca Garolla nel suo trascendente e carnale “Non correre Amleto” del Teatro I, quasi invocazione bambinesca, colloquio tra una madre che sfugge al ricordo ed un figlio cresciuto che vaga per i campi del mondo. La guerra fa da fondale, sonoro e pastoso, alla figura eterea di Milutin Dapcevic (eccelso anche in “Magda e lo spavento”) ruotando attorno ad una solida poltrona, lo stare borghese, fluttuando e lottando con un libro, la Storia, e la spada tra il duello shakespeariano, danza macabra che apre all’eccidio del dramma per eccellenza del Bardo, o al chisciottesco incrocio di lame. Il sapore che rimane in gola ha l’amaro dei Balcani o l’agrodolce dell’omicidio di Ilaria Alpi e la domanda che risuona ancora è la stessa da millenni: “Per chi suona la campana?”. La risposta è muta.
Ha colpito “La moda e la morte” del gruppo Animanera proposizione di un teatro che si fa frontale ed al tempo stesso verticale, ascisse in un territorio dove sembra mancare la profondità spaziale. In questo incrocio figure bianche ed evanescenti, la Morte su un’altalena, la Moda tra teiere e tazzine da Alice nel Paese delle Meraviglie, la Storia menomata che tutto distrugge per noia, l’Economia che fa calcoli sul sangue versato. Scendono dall’alto sorprese in questo incavo del Tempo, in questa enclave dove si decidono le sorti dei piccoli uomini sciagurati: delicato e tagliente.
Messinscena che avrà circuito e successo sarà “Due donne che ballano” a cura del Teatro Carcano con due big come Maria Paiato e Arianna Scommegna, per la regia di Veronica Cruciani, che in questa sede sostituiva la figlia di Nicola Di Bari nella lettura al leggio del potente testo. Botta e risposta e sentimenti e posizioni che variano e si scambiano tra una donna anziana e la sua aiutante in casa, un rapporto di forza ed indifferenza, di affetto e lontananze che ci ha riportato allo splendido “La porta” di Magda Szabo o a “La badante” di Cesare Lievi. La figura alla quale presta corpo e voce la Paiato, perfetta negli scarti di tensione, nelle pause come nelle scansioni all’interno delle linee del sottotesto, sempre più tra Melato e Magnani, ha la forza espressiva dei personaggi portati in scena da Barbara Valmorin, con tutte quelle punte d’asprezza, il burbero, lo scontrosa, la ruvidità di chi è stato lasciato troppo solo: nervi e cuore.