Ufficiali le dimissioni, smentite un mese fa, del capoeconomista Lorenzo Codogno, a cui Renzi contesta una tabella sulla spesa per pensioni inserita nel Documento di economia e finanza. Ed è in uscita anche il consigliere di Padoan per il fisco Vieri Ceriani, contrario ad alcune norme della Stabilità
La frattura tra Tesoro e Palazzo Chigi continua ad allargarsi. E il risultato è che almeno tre alti dirigenti del ministero dell’Economia sono in uscita, in polemica con la politica fiscale del governo e con alcune decisioni di finanza pubblica. Secondo Repubblica, non solo il capoeconomista Lorenzo Codogno, l’uomo che da nove anni scrive il Documento di economia e finanza, ha confermato le dimissioni presentate in ottobre e inizialmente bloccate da Pier Carlo Padoan, ma alla sua lettera si è aggiunta quella del consigliere per il fisco Vieri Ceriani, super-tecnico di diversi governi di centrosinistra, sottosegretario del governo Monti e molto vicino a Padoan. Mentre Fabrizia Lapecorella, capo del Dipartimento delle Finanze del ministero, sarebbe nel mirino della presidenza del Consiglio perché colpevole di “frenare” l’iter dell’attuazione della delega fiscale. Il termine per approvare i decreti attuativi, tra cui quello molto discusso sull’abuso del diritto, scadono il 26 marzo, e per ora ne sono approdati in Consiglio dei ministri solo tre. Matteo Renzi, secondo il quotidiano di Largo Fochetti, attribuisce la responsabilità alla “resistenza della burocrazia ministeriale” e al “freno” esercitato dal capo di gabinetto dello stesso Padoan, Roberto Garofoli, peraltro ex segretario generale di Palazzo Chigi durante il governo Letta.
L’addio di Codogno, che lavora con Maria Cannata occupandosi dei rapporti con gli investitori internazionali (quelli che detengono oltre il 30% del nostro debito pubblico), sarebbe motivato anche dal fatto che una delle tabelle da lui inserite nell’ultimo Def contiene la previsione di un aumento della spesa per pensioni da 254 a 282 miliardi tra 2013 e 2018. Un dato che mette in luce la necessità di un nuovo intervento in campo previdenziale, sempre smentita da Renzi. Di qui la decisione di lasciare, che è ormai ufficiale anche se sarà formalizzata in primavera. Al contrario per ora vengono smentite, ma sarebbero irrevocabili, le dimissioni di Ceriani, che secondo Repubblica ha contrastato senza successo la decisione di inserire nella legge di Stabilità la deducibilità del costo del lavoro dall’Irap, imposta istituita nel 1997 quando il tecnico affiancava l’allora ministro Vincenzo Visco, e l’incremento della tassazione sui fondi di previdenza integrativa. Peraltro ormai il fisco è saldamente nelle mani del nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, considerata vicina a Renzi.
Il contrasto tra il ministero guidato da Padoan e la squadra economica di Palazzo Chigi era emerso con grande evidenza durante l’estate, quando la Ragioneria generale ha bocciato per assenza di coperture la soluzione individuata dal governo per i lavoratori della scuola “quota 96”, quelli che a causa della riforma Fornero non sono riusciti ad andare in pensione nonostante avessero i requisiti. A settembre, poi, Renzi ha nominato sette consiglieri economici, capeggiati dall’ex consulente di McKinsey Yoram Gutgeld. Un gruppo di esperti che affiancano direttamente il premier scavalcando le strutture di via XX Settembre.
In serata il ministero ha diffuso un comunicato che conferma le dimissioni di Codogno definendole “decisione esclusivamente di natura personale” ma smentisce le “indiscrezioni sulla presunta fuga di figure apicali”: Fabrizia Lapecorella e Vieri Ceriani, si legge, “non hanno alcuna intenzione di venire meno ai propri impegni”.