In questo blog abbiamo trattato prevalentemente problemi connessi ai cambiamenti nella produzione di energia. Anche nelle destinazioni finali dei prodotti energetici siamo a una svolta, sia in nome dell’efficienza generale, che dell’eliminazione degli sprechi nei Paesi più ricchi e del conseguente inquinamento su tutto il pianeta.
L’ambiente, il clima, la convivenza sulla terra, la creazione di nuova occupazione e di lavoro dignitoso bussano alla porta anche di un settore decisivo come quello dell’automobile, il prodotto che ha caratterizzato più di ogni altro lo sviluppo industriale e che oggi è “concettualmente” in crisi. Anzi, direi che il binomio petrolio-auto individuale già non appartiene più al futuro, anche se continua a fare la fortuna di Marchionne (che, però, fra cinque anni si occuperà d’altro). Nel 2018, infatti, avrà già completato la distruzione di una formidabile specializzazione industriale e di ricerca del nostro Paese. Un’operazione che pagheremo cara e che è stata permessa da governi privi di una seria politica industriale, convinti che dietro le scelte produttive non ci debbano stare intelligenze, diritti, lavoro e ambiente, ma solo le convenienze di quelli di sempre.
L’errore compiuto nel far sparire un intero settore manifatturiero è incommensurabile, dato che siamo a un punto di svolta nella storia dell’automobile. Assume priorità il concetto di mobilità – cioè organizzazione e riduzione del traffico con minore congestione spaziale e una crescita di servizi prevalentemente pubblici o ad accesso temporaneo – e si diffondono veicoli di transizione a emissione di CO2 ridotta, che delimitano il consumo di petrolio.
Così, le case automobilistiche più innovative sono sotto pressione in Francia, Inghilterra, Germania, Usa, Giappone e Corea del Sud, mentre i nostri governi hanno sempre altro cui pensare. Se da una parte l’auto con motore termico e a proprietà individuale rappresenta ormai un sistema tecnologico e finanziario obsoleto e perfino capitalisticamente debole, dall’altra prendono sempre più quota le soluzioni ibride, i motori elettrici e i veicoli da trasporto collettivi con celle a combustibile alimentate a idrogeno.
Parlare di auto ibride significa riferirsi alla quota maggioritaria di ricerca e sviluppo delle grandi imprese mondiali, almeno in questa fase. Per quanto riguarda le vendite di auto ibride plug-in in Europa, l’Olanda fornisce un eccezionale dato (19.673 auto vendute nel 2013) a seguito degli importanti incentivi offerti dal governo. Anche in Italia i dati di vendita delle ibride (+64% sul 2013) e delle auto elettriche (+300% sul 2013) sono incoraggianti, con un parco complessivo attorno al 2% del totale e con un impiego prevalente nei servizi di taxi e car sharing. (v. EV Obsession)
Parlare di auto elettriche, oggi, significa parlare forse del rischio d’impresa maggiore, ma anche della prospettiva più favorevole, e non solo per il traffico urbano. Sempre secondo EV Obsession, la Francia si conferma come un mercato in fortissima crescita per il settore delle auto elettriche “pure”, seguita dai Paesi scandinavi, con l’Italia al sesto posto. In Norvegia, il settore delle vetture elettriche copre più del 7% dell’intero mercato automobilistico a seguito di accorte politiche di incentivazione messe in atto, che comportano il mancato pagamento dell’Iva, delle tasse, del parcheggio, del pedaggio autostradale e perfino del trasporto su traghetti.
Oltre alle maggiori case automobilistiche (Renault, Peugeot, Nissan, Toyota, Hyundai) impegnate sul versante ambientale e delle prestazioni, risulta interessante la partita nell’elettrico giocata da Tesla Motors, che sta affrontando uno dei problemi del sistema industriale del futuro: il trade-off tra automatizzazione dei processi produttivi e disoccupazione. Tesla fornisce un prodotto di nicchia e costoso, ma il suo successo, mantenendosi a livello di media impresa e cercando di rendere “open source” i suoi brevetti, è servito da esempio e ha dato il via a startup in tutto il mondo. Tesla Motors Inc. e Nissan Motor Co. propendono per batterie a ioni di litio di grandi dimensioni, mentre altri tipi di prodotti innovativi e a pronta ricarica sono allo studio in un diffuso numero di laboratori, con risultati interessanti anche in Italia.
Da ultimo, assistiamo a un ritorno di una prospettiva che sembrava preclusa: Toyota Motor Corp. presenta al salone di Los Angeles un’auto alimentata a celle a combustibile che viaggia 300 miglia con un serbatoio di idrogeno che può essere ricaricata in meno di cinque minuti.
Le strade da battere sono diverse e vanno tenute aperte: evidentemente per l’Italia la trasformazione di Fiat in Fca le ha precluse. Certamente servono imprese con un impegno molto deciso in ricerca e sviluppo, servono nuove infrastrutture (si pensi ai rifornimenti sostitutivi di benzina e diesel), soldi pubblici e incentivi ai consumatori sulla base di un progetto condiviso e desiderabile anche sotto il profilo ambientale e sociale, perché la complessità del cambiamento sovverte letteralmente un sistema che ha attraversato due secoli.
Dove si colloca l’Italia con la sua grande esperienza passata? Altrove si riconvertono prodotti e servizi. La somma che Toyota avrà investito in ricerca e sviluppo per nuove tecnologie pulite ammonterà alla fine dell’anno fiscale 2014 a 890 miliardi di Yen con un forte ritorno commerciale (ha venduto oltre sei milioni di ibridi). Tesla Motors sta costruendo negli Stati Uniti, in Europa e in Cina un’enorme rete di punti di ricarica presso i quali i possessori di auto elettriche possono ricaricare l’80% della batteria in 40 minuti. Bmw, Air Liquide e il governo tedesco si stanno occupando di distributori di idrogeno. Entro il 2025 la California si attrezzerà per adeguare le sue infrastrutture affinché uno su sette veicoli venduti utilizzi celle a combustibile, batterie o motori ibridi gas-elettrici. E complessivamente il modello di mobilità sostenibile si orienta verso riduzione del traffico, riorganizzazione delle città, veicoli di trasporto non tradizionali e non necessariamente a proprietà esclusiva.
Al di là delle singole soluzioni, ancora da valutare per l’impatto sociale, ambientale, industriale e occupazionale complessivo, non c’è dubbio che è in corso una grande trasformazione, rispetto cui l’Italia si è messa alla finestra e che si intensificherà nei prossimi 10 anni. Entro il 2025 le “riforme istituzionali” e “i compiti a casa” mai finiti ci avranno dato tempo di entrare in questa “rivoluzione”?