Copertine accattivanti, disegnate dal bravissimo artista iraniano Iman Raad, traduzioni impeccabili, storie affascinanti. Questi gli ingredienti che fanno di Edizioni Ponte 33, coraggioso e piccolo editore fiorentino, un buon esempio di come si possano pubblicare libri intelligenti rimanendo indipendenti e fedeli al proprio credo. Ponte 33 è una casa editrice che si pone l’obiettivo di far conoscere in Italia la letteratura contemporanea in lingua persiana prodotta in Iran, Afghanistan, Tagikistan e all’estero, principalmente Stati Uniti e Europa, dove molti scrittori provenienti da questi paesi vivono e lavorano.
L’idea è nata nella primavera del 2008 a Tehran, dove Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini hanno deciso di trasformare la conoscenza, l’interesse e la passione per un paese nel quale entrambe si erano trovate a lavorare e a vivere in un progetto editoriale destinato a prendere vita al loro rientro in Italia. Più che una casa editrice classica, uno spazio nel quale far “transitare” verso l’Italia scrittori, poeti, grafici, artisti (il genere in italiano è maschile, ma la sostanza, in Iran soprattutto, oggi è in primo luogo femminile) e presentare una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale. Una produzione variegata e multiforme, in cui la letteratura, ancor più del cinema e delle arti visive, ha un posto di primo piano nello svelare le contraddizioni, queste sì vere e dolorose, che si agitano all’interno di società nelle quali la contemporaneità si trova a convivere con resistenze antiche e nuove opposizioni.
E nel mettere in luce come la collisione tra queste tensioni produca anche uno straordinario dinamismo, che cambia le mentalità senza spezzare la trama forte delle identità, e della storia. L’intenzione è dunque quella di offrire per tutta l’area di lingua persiana una sorta di sguardo “dall’interno”, quello sguardo che solo la letteratura può dare, se è vero che per conoscere un paese occorre viverci oppure leggerne gli scrittori. Il nome Ponte33 richiama il persiano Si-o-se pol, bellissimo ponte di Isfahan sotto le cui arcate (33 per l’appunto) da sempre giovani e meno giovani si incontrano, parlano, discutono, recitano versi, leggono libri.
Il libro è un viaggio dentro di sé alla ricerca di un’amica perduta e di un passato troppo a lungo negato, chiusa in macchina nella Tehran caotica e pulsante di oggi. Sara Salar porta il lettore nelle strade di una megalopoli soffocata dal traffico e ricoperta di cartelloni pubblicitari inneggianti ad un consumismo pacchiano da cui la protagonista, una giovane donna sposata e con un figlio, è respinta e attratta insieme. Così come è combattuta tra la repulsione e l’attrazione per il socio del marito che la corteggia pressante, approfittando della sua incapacità di sottrarsi fino in fondo alle lusinghe di una mondanità vuota e
Come un uccello in volo ha vinto il prestigioso premio Golshiri, assegnato dalla Fondazione Golshiri, la più importante istituzione letteraria dell’Iran contemporaneo, e il premio Yalda, il principalericonoscimento letterario iraniano. Ha inoltre ricevuto numerose menzioni ed è stato più volte ristampato. È stato tradotto in inglese, turco ed italiano. È in via di pubblicazione la traduzione francese. Si tratta di un romanzo diverso e sorprendente, lontano dai clichés sull’universo femminile mediorientale a cui siamo abituati. L’Iran di oggi rivelato in una minuta quotidianità sconosciuta al lettore occidentale.
Lontano dalla descrizione stereotipata del modello femminile cui la letteratura mainstream sul Medio Oriente ci ha abituato, Come un uccello in volo ci accompagna nel viaggio interiore di una giovane donna alla ricerca della propria identità nell’Iran contemporaneo. Casalinga e madre riluttante, la protagonista – che ha in comune con l’autrice numerosi tratti biografici – si rivela nella sua complessa umanità attraverso la scoperta e la tentata ridefinizione del proprio ruolo di madre, moglie e figlia. Fossilizzata in una condizione di inerzia alla quale sembra averla condannata il suo passato familiare, essa comincia a prendere coscienza di se stessa nel confronto con un marito instancabilmente inquieto, la cui unica risposta all’insoddisfazione e alle difficoltà del vivere imposte da un Iran mai citato direttamente, eppure così vivido nella sua minuta quotidianità, si cristallizza nel sogno ossessivo dell’emigrazione in Canada. Lo stile asciutto e denso insieme, le immagini di forte impatto, le secche battute miste a una sottile e lieve ironia, riflettono le reticenze della narratrice, la cui auto-rivelazione avviene grazie alla riscoperta di recessi del passato, rimasti intoccati da anni di silenzio, soggezione e sensi di colpa.
Emergendo dai luoghi bui della sua infanzia e dalla “gabbia” che i legami affettivi le hanno creato intorno, come un uccello in volo, la protagonista esplorerà gli spazi aperti iniziando a cantare.