Centocinquantamila dollari al secondo. Per raggiungere una platea di 100 milioni di spettatori, certo. Significa che uno spot “standard” della durata di mezzo minuto costa 4,5 milioni solo per la messa in onda. Produzione ed ingaggi – negli ultimi anni con ricorso a registi di grido ed attori sempre più famosi – a parte, s’intende. Tradizionalmente i costruttori di auto sono tra i grandi inserzionisti del Superbowl, ma per l’edizione del 2015 sembrano aver ingranato la retromarcia.
General Motors, che era tornato al Superbowl nel 2011 così come Bmw, ha fatto sapere di non aver ancora raggiunto una decisione. Audi e Chrysler non hanno voluto dire se saranno della partita o meno. Nessuna certezza nemmeno da Hyundai, mentre Mercedes-Benz ci sarà, ma solo nel 2016. Chi ha invece dichiarato che non acquisterà spazi è Jaguar, che l’anno scorso aveva esordito al Superbowl con la F-Type Coupé con un filmato interpretato da Ben Kingsley, Tom Hiddleston e Mark Strong.
Il Superbowl, la finale dal campionato di football americano, è in calendario il primo febbraio 2015 e si giocherà nello stadio degli Arizona Cardinals, cioè il catino da 72.000 spettatori dell’Università di Phoenix, ed è il solito colossale evento mediatico. A Glendale, 220.000 abitanti, si concentrerà l’attenzione del mondo intero: viene stimato un miliardo di telespettatori (un decimo in Nord America).
La NBC, che ha acquistato i diritti della partita, ha rincarato i listini per la pubblicità di almeno mezzo milione: l’anno scorso uno spot costava mediamente 3,8 milioni. L’emittente d’Oltroceano stima di incassare 290 milioni di dollari grazie alla mezz’ora di pubblicità. Una cifra mostruosa. A poco più di due mesi dall’evento, la NBC ha fatto sapere che la vendita procede meno spedita che in passato, in particolare per via dei costruttori d’auto ai quali sarebbero comunque riconducibili poco più della metà degli spazi per un totale di 50 milioni.
Dimenticata la crisi, dal 2009 il mercato statunitense dell’auto ha imboccato la via della crescita: un lustro di costante aumento dei volumi che dovrebbe proseguire anche nel 2015 con 16,9 milioni di immatricolazioni stimate, mezzo 500.000 più che nel 2014. Il trend ha avuto ripercussioni anche sugli investimenti nel Superbowl: nel 2011, sei marchi avevano speso 77,5 milioni per la promozione di 9 modelli. L’anno successivo, con la NBC, erano schizzati a 94,5 grazie alla scelta di 7 fabbricanti (12 modelli reclamizzati), mentre nel 2013 la CBS si era dovuta “accontentare” di 92 ottenuti da sei compagnie per 9 diverse auto. Per il Superbowl del 2014, Fox era riuscita a scucire a sette grandi marchi 93 milioni di dollari. Fra gli investitori c’era anche Fiat, che aveva scelto di sostenere 500L, 500e e Abarth 500 Cabrio. Gli altri erano Volkswagen (che ciò nonostante continua a perdere terreno negli Stati Uniti), Audi, Mercedes-Benz, Toyota, Hyundai e Kia.
Un po’ sta cambiando la programmazione degli investimenti pubblicitari, con sempre maggiore attenzione ai canali web ed al mondo dei social media, ed un po’ i costruttori vogliono stare attenti a non tradire la fiducia dei consumatori. I grandi marchi devono fare i conti con il malcontento legato all’enorme numero di richiami – 37,2 milioni sono nei primi sei mesi, ma destinato a lievitare perché nelle scorse ore l’NHTSA ha “sollecitato” un nuovo intervento ai marchi che montano airbag Takata – che ha flagellato il 2014. Alcuni automobilisti sono stati costretti addirittura a riportare due volte in officina lo stesso modello perché il primo intervento rischiava di non bastare, come nel caso di Ford.
General Motors, al centro proprio di uno dei maxi-richiami, potrebbe valutare come controproducente una presenza al Superbowl mentre ci sono inchieste in corso, risarcimenti in ballo e cause pendenti. Anche Hyundai e Kia, appena sanzionate dall’EPA per aver dichiarato falsi consumi con un’ammenda da 100 milioni di dollari, potrebbero trovarsi di fronte ad automobilisti “inquieti”. La realtà è che per il Superbowl del 2015 eventuali inserzionisti dell’automotive sembrerebbero avere eccezionalmente scarsa concorrenza, come ha spiegato Seth Winter, vice presidente esecutivo per le vendite di NBC Sports e NBCU Universal News Group.