Il soldato Lee Rigby, ucciso a colpi di machete da due fanatici musulmani a Londra nel maggio del 2013, oggi potrebbe essere ancora vivo, se solo Facebook avesse passato all’intelligence britannica il contenuto di alcune chat in cui uno dei due assaltatori annunciava l’attentato. Questa è la conclusione di un rapporto stilato dalla Camera dei Comuni di Westminster, l’ala bassa del parlamento del Regno Unito, che ha appunto analizzato la vicenda, ripresa persino da alcune telecamere e che sconvolse il mondo intero. Cinque mesi prima dell’attentato di Woolwich, uno dei due, Michael Adebowale, aveva infatti scritto su Facebook che avrebbe voluto uccidere un militare in un modo “sorprendente”.
Facebook, tuttavia, ha concluso lo stesso comitato parlamentare, non era a conoscenza di questa precisa comunicazione. E così si riaccende il dibattito sui social network e sul controllo dei loro contenuti, proprio a pochi giorni dall’annuncio di Whatsapp, popolare servizio di messaggistica, che comincerà a rendere le comunicazioni fra utenti “criptate” e non accessibili nemmeno ai gestori dell’applicazione. Ecco così che ora Facebook e altri network sono stati definiti dei “porti sicuri” e delle “zone franche” per chi semina odio e terrore. Un’etichetta che arriva dalla politica e che, quasi sicuramente, nelle prossime settimane porterà molti giganti tecnologici a rivedere le proprie strategie.
Il profilo di Adebowale, tuttavia, secondo le ricostruzioni del comitato, era stato in precedenza bloccato proprio per contenuti legati al terrorismo, poi ripristinato, ma la vicenda non era arrivata alle pur attente orecchie dei servizi di intelligence del Regno Unito. Il loro impeto terroristico si concluse poi con l’attentato del 22 maggio dell’anno scorso, quando il 25enne Rigby fu macellato a colpi di arma da taglio. A Londra, già da mesi, ministri e primo ministro stanno accusando le compagnie di Internet di non essere abbastanza collaborative nella lotta al terrorismo, nonostante abbiano un “dovere morale”, come disse il premier David Cameron non molto tempo fa, in quanto proprio sui loro network spesso vengono organizzati attentati e proclami propagandistici. Il report del parlamento tuttavia scagiona anche l’intelligence, sottolineando come, con gli elementi a conoscenza degli investigatori, l’omicidio non avrebbe potuto essere evitato. Entrambi gli attentatori, Adebowale e Michael Adebolajo, erano conosciuti alla rete di spionaggio britannica, ma non a sufficienza per far scattare pienamente la rete di prevenzione. Dei pericoli “di basso livello”, insomma. Ma evidentemente non era così.
“Se l’MI5 avesse visto le comunicazioni, tuttavia, Adebowale sarebbe diventato una priorità dell’intelligence”, ha aggiunto il report. Il governo di Cameron, ora, vuole superare questa difficoltà. I server di Apple, Twitter, Facebook, Google, Microsoft, Yahoo! e altri sono quasi tutti negli Stati Uniti e, con le leggi attuali, poter accedere ai loro database è molto difficile per le autorità di altri Paesi. In più, con questa nuova ondata di tutela della privacy – come la notizia relativa all’ultima scelta di Whatsapp rivela – le cose rischiano di diventare ancora più complicate. Facebook, dal canto suo, si è difesa. Parlando con il quotidiano conservatore britannico Daily Telegraph, un portavoce dell’azienda ha detto: “Come ognuno, siamo rimasti scioccati dall’omicidio di Lee Rigby. Non commentiamo su casi singoli, ma le policy di Facebook sono chiare, noi non consentiamo contenuto legato al terrorismo sul sito e cerchiamo di fare di tutto per evitare alla gente di usare il nostro servizio per questi scopi”. Peccato che Lee Rigby sia morto già da un anno e mezzo e le accuse a Facebook sono arrivate nelle ultime ore anche dai parenti del soldato. La sentenza che ha portato in carcere Adebolajo e Adebowale è arrivata nel febbraio di quest’anno. Il primo dovrà scontare l’ergastolo, il secondo dovrà stare in prigione per almeno 45 anni.