Avrei voluto raccontare della ventisettesima edizione della più longeva fiera della cannabis al mondo (la Cannabis Cup) che si è conclusa ieri ad Amsterdam; e invece finirò per raccontare del caso politico che ha scatenato e che ha portato alla sua cancellazione (di fatto). Ma andiamo per ordine. Cos’è la Cannabis Cup? Si tratta di una manifestazione organizzata ogni anno da High Times, leggendaria pubblicazione americana, che dagli anni ’70 promuove la cultura della canapa. Fin qui la storia, ora la cronaca: a due giorni dall’inizio della fiera nel luogo prescelto, funzionari del comune di Amsterdam si sarebbero accorti di “irregolarità” nella presentazione della domanda ed hanno deciso, 48 ore prima, con pass e biglietti venduti da mesi e migliaia di persone giunte da mezzo mondo, di non concedere la licenza. Quelli di High Times non sono proprio sconosciuti all’amministrazione comunale: sono infatti gli stessi che hanno presentato già 26 volte dal 1987 quella domanda misteriosamente, e senza appello, oggi cassata. Che si fa allora? Migliaia di persone, soprattutto quelli volati da oltreoceano, che hanno pagato anche 250 dollari per un pass, aspettavano una risposta e mentre in rete cominciava a montare il malcontento di avventori e giurati due locali si sono allora fatti avanti per ospitare la fiera, ormai clandestina, ma entrambi hanno dovuto recedere: pare che il comune li abbia contattati minacciando di sospendere loro la licenza qualora avessero ospitato l’evento. Domenica mattina il colpo di scena: la Cup ha trovato una nuova sede. Il Melkweg, uno storico spazio socio-culturale nel cuore di Amsterdam, si è detto disposto ad ospitare la fiera: fino ad oggi, ed ogni anno sempre più mal volentieri, il locale aveva accolto solo la serata conclusiva della Cup ma per venire incontro all’emergenza, hanno deciso allora di fare un’eccezione agli ed aprire le porte dalla domenica. Ma il “gatto e topo” tra comune ed organizzatori non è finito qui: la carovana di High Times non ha fatto in tempo a stringere le ultime viti dei tavoli per gli espositori che ecco arrivare la seconda doccia gelata: la polizia è alle porte del Melkweg con un’ordinanza del sindaco che impone di terminare immediatamente la manifestazione. Gli agenti sottolineavano di avere ordine di arrestare tutti qualora si fossero rifiutati di obbedire.

A questo punto il giallo si è infittito, le accuse tra le parti sono volate tra internet, carte bollate e mezze dichiarazioni alla stampa: il locale accusava High Times, High Times accusava il sindaco, il sindaco accusava il Melkweg. E in mezzo il pubblico che non ci capiva più nulla (e non solo per aver fumato troppa ganja). La prima giornata si è conclusa così. Le successive si sarebbero poi svolte al Melkweg ma senza fiera e, ovviamente, senza sognarsi di accendere una canna: praticamente una fiera della canapa senza canapa (e senza fiera); qualche seminario semi-deserto, partecipanti e giurati stipati nei coffeeshop da un lato ed il comune che dall’altro soddisfatto continuava a ripetere “noi non abbiamo vietato nulla, qui non si vieta nulla”.

La realtà però è ben diversa e la sintetizza in un post sul suo blog Maurice Veldman storico avvocato dei coffeeshop: cacciare la Cup da Amsterdam cercando di boicottarla è parte dell’accordo di governo tra laburisti e liberali. Il sindco laburista, per evitare ad Amsterdam il flagello dei wietpas -la tessera per residenti che ha causato una catastrofe per l’ordine pubblico in piccoli centri di frontiera come Maastricht e Breda- avrebbe dovuto concedere in cambio, al ministro della giustizia (liberale ed anti-cannabis) Ivo Opstelten la chiusura di 1/3 dei coffeeshop della capitale e di tutte quelle attività che richiamino la cultura della cannabis. Il parlamento sta votando la messa al bando dei prodotti per la coltivazione, approverà presto il celebre “taglio del Thc” che farà sparire più della metà della marijuana dai coffeeshop e più in generale i liberali sono sempre al lavoro per pensare a qualche nuovo, creativo, divieto; che praticamente vieta ma formalmente no. In 27 anni di Cannabis Cup non si ricordano incidenti tali da poter giustificare il teatrino andato in scena negli ultimi giorni mentre, ad esempio, l’Ade (Amsterdam Dance Event) il più grande festival cittadino di musica elettronica al mondo, fiore all’occhiello dell’amministrazione comunale, quest’anno è stato funestato da ben 5 decessi per droga. Nessuno, ovviamente, si sognerebbe di vietare l’Ade, vetrina per multinazionali del divertimento come il colosso della “trance” Armada o l’agenzia Id&t (quella di Sensation) ma la Cannabis Cup è altra cosa: l’esperimento di tolleranza sulla cannabis aveva un tempo una solida sponda politica che oggi non ha più ; in una società rigidamente proporzionale come quella olandese, perdere consensi significa perdere posizioni. Il denaro ed il colorato conformismo, spacciato per creatività, dei nuovi freelance hanno sostituito le controculture ribelli di una volta stravolgendo anche l’agenda delle priorità; allora i 5 decessi dell’Ade diventano un momento triste ma tollerabile mentre un evento sostanzialmente tranquillo come la Cannabis Cup finisce per diventare un’adunata sediziosa che le autorità devono reprimere a tutti i costi, pur negando di aver esercitato pressioni, ovviamente per non intaccare il prodotto “Amsterdam città della tolleranza” venduto con successo a mezzo mondo. Per tanti americani volati nei Paesi Bassi questa sarà l’ultima Cup in Europa: perché attraversare mezzo mondo se le città più “pot-friendly” le hanno proprio dentro casa?

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