I giudici hanno riqualificato l'accusa a carico dell'ex consigliere politico di Giulio Tremonti da corruzione a "traffico di influenze", reato introdotto con la legge Severino nel 2012
Sì alla scarcerazione di Marco Milanese. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha riqualificato l’accusa di corruzione a carico dell’ex consigliere politico di Giulio Tremonti in quella più ‘leggera’ di “traffico di influenze”, reato introdotto con la legge Severino nel 2012. Milanese si trova in carcere a seguito del coinvolgimento dell’inchiesta sulle tangenti per il Mose e il suo nome era venuto fuori il giorno in cui finì agli arresti domiciliari il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Milanese era stato poi arrestato il 4 luglio, ma il fascicolo era passato per competenza all’autorità giudiziaria di Milano che aveva emesso una nuova ordinanza. L’accusa era quella di aver incassato mezzo milione di euro per sbloccare i finanziamenti del Cipe per l’opera veneziana.
In particolare, la Sesta sezione penale della Cassazione – presidente Antonio Agrò, relatore Tito Garribba – nei confronti di Milanese, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), ha “riqualificato il fatto come reato previsto dall’art. 346 bis codice penale e annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché quella del 20 luglio scorso del gip del tribunale di Milano e ordina l’immediata scarcerazione del Milanese se non detenuto per altra causa”.
L’ordinanza impugnata – cioè il provvedimento contro il quale hanno fatto ricorso alla Suprema Corte i legali di Milanese, avvocati Larosa e Coppi – era stata emessa lo scorso quattro agosto dal tribunale della Libertà di Milano a conferma di quella del gip. Il filone di inchiesta è quello veneziano relativo alle tangenti per il Mose e la competenza, per Milanese, era passata a Milano per un presunto giro di mazzette che sarebbe avvenuto nel capoluogo lombardo, ma questa accusa non ha trovato conferma presso la Suprema Corte.
Della presunta tangente destinata a Milanese aveva parlato Claudia Minutillo, ex segreteria di Giancarlo Galan. Quando la Guardia di Finanza arrivo negli uffici del Consorzio Venezia nuova per iniziare una verifica fiscale proprio nel giorno il mezzo milione doveva passare di mano e il denaro sarebbe finito dietro un armadio.