Siamo l’unico Paese al mondo che fa la lotta all’evasione fiscale strizzando l’occhio agli evasori. Il preannunciato decreto in attuazione della delega fiscale ne è la prova.
Cominciamo dal peccato originale, l’occhio di riguardo per il “nero”. È come per il falso in bilancio, anzi peggio. B. se l’è abolito (di fatto) nel 2002 e ancora niente è cambiato; il “nero” lo hanno declassato a peccato veniale nel 2000 e adesso c’era l’occasione di rinsavire. Per la legge vigente, se uno si mette in tasca i soldi e non annota in contabilità quello che ha ricevuto (dunque fa una contabilità falsa), commette “dichiarazione infedele”, punita fino a 3 anni (niente carcerazione preventiva, intercettazioni e prigione) e non “frode fiscale” (6 anni, carcerazione preventiva, intercettazioni e prigione). Eppure, se inserire in contabilità fatture false, dunque affermare che ci sono costi inesistenti, è frode fiscale; perché diavolo non lo è non inserire fatture vere, dunque affermare (falsamente) che si è incassato meno del reale? Si poteva modificare la legge; invece non solo non l’hanno fatto ma hanno ribadito che chi falsifica la contabilità non inserendovi il “nero” non commette frode fiscale. Perché? Semplice: perché il “nero” è praticato dall’universalità del popolo dell’Iva, un po’ più di 8 milioni di contribuenti. E qual è il politico che rinuncia a 8 milioni di voti?
Sull’elusione fiscale, altro prudente riserbo. Che l’elusione consista nella mancanza di reali ragioni economiche a supporto dell’operazione effettuata e nella realizzazione di un vantaggio fiscale che, senza quell’operazione, non vi sarebbe stato è nozione acquisita dalla notte dei tempi. Aggiungere che l’elusione non costituisce reato è non solo inutile ma fuorviante. Per fare un esempio: Dolce & Gabbana hanno costituito in Lussemburgo una società (Gado) e le hanno poi venduto i loro marchi; così tutte le royalties, invece di arrivare ai due stilisti persone fisiche in Italia (con tasse al 40 per cento) arrivavano in Lussemburgo (con tasse al 4 per cento). La sede della società era in una stanzetta presso uno studio di commercialisti; dapprima non c’era nemmeno un impiegato, poi ne hanno assunta una. La Cassazione li ha assolti, la Commissione tributaria li ha condannati (si è in attesa della decisione della sezione tributaria della Cassazione), nessuno comunque gli ha contestato la frode fiscale perché, al più, si sarebbe trattato di elusione. C’era l’occasione di specificare che elusione ed evasione sono concetti distinti e che risparmiare sulle imposte utilizzando società inesistenti come schermo giuridico è frode fiscale, altro che illecito amministrativo.
Ultima chicca: si vuole aumentare la soglia di punibilità a 200.000 euro di imposta evasa; se uno evade 190. 000 euro non commette reato. 200. 000 euro di imposta significano 400. 000 euro di “nero”. Quanta gente in Italia ha un giro d’affari di questo tipo? Non lo sanno, all’Agenzia delle Entrate, che il 90 per cento dell’evasione proviene dai piccoli-medi contribuenti? Alla fine, la domanda è: quando indicheranno, a copertura di qualche mirabolante riforma, 4, 5 6, N miliardi provenienti dalla lotta all’evasione, saranno coscienti di raccontare una palla?
il Fatto Quotidiano, 28 Novembre 2014