Un piccolo particolare grottescamente comico nella tragica alluvione genovese dell’ottobre scorso: la notte fatidica, catturata dalla furia delle acque, una mastodontica automobile blindata viene trasformata in proiettile e scaraventata contro il muro esterno della Questura cittadina; sfondandolo e distruggendo sullo slancio l’intero ufficio immigrazioni.

La mattina dopo ci si chiede a chi appartenga la macchina devastatrice e si scopre che il proprietario è – udite, udite – proprio il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco; il quale è solito utilizzarla nelle sue visite pastorali, probabilmente nel timore di essere preso a revolverate. Comunque alla faccia di Papa Francesco e del suo invito alla sobrietà da parte dei porporati in materia di mezzi di locomozione.

Cerco di capire la logica che spinge il presidente Cei a tale scelta interrogando uno degli ormai rari “preti da strada” locali mio amico. La risposta è secca: “Puro e semplice culto dello status symbol”. L’urgenza di quello che l’economista Thorstein Veblen definiva “consumo dimostrativo”: l’accaparramento compulsivo di beni vistosi come credenziali della raggiunta posizione sociale elevata.

La stessa molla che scatta nella testolina della ministra bellica Roberta Pinotti, a prescindere se il volo militare (trasformato in taxi Vip) che l’ha riportata a casa avesse o meno modificato il proprio programma di volo (caso archiviato dalla Procura di Roma). Pura ostentazione di rango conseguito, per una ragazza nata in un quartiere di periferia, che ha scalato la piramide sociale facendo politica. Il montacarichi per la conquista dei piani alti in qualsivoglia istituzione, laica o clericale che sia. Esito che ora l’asceso/a intende sbatterlo in faccia a tutti, all’insegna del classico “lei non sa chi sono io”. Un po’ come l’uso delle scorte trasformate in valletti nello shopping all’Ikea da parte dell’ex ministro Anna Finocchiaro.

Insomma, smargiassate da parvenu, nell’identico intento subliminale della macchina blu che tutte le mattine attende sotto casa il governatore di Regione Liguria Claudio Burlando. Il presunto “figlio del popolo” che da lunga pezza ha traslocato nell’appartamento in Albaro, i Parioli genovesi.

L’ansia arrampicatrice è il tratto che accomuna queste come le mille altre storie specchio dei tempi, emerse in tutta la loro miserabile pochezza nelle interminabili indagini di polizia e magistratura sulle dissipazioni di denaro pubblico nei consigli regionali di tutta Italia. E non se ne salva uno che è uno.

Anche perché nell’evoluzione carrieristica dell’impegno pubblico si è compiuta la mutazione degli schieramenti politici in un’unica ammucchiata indistinta, in cui tutti gli appartenenti condividono l’impegno solidale di tutelare i vantaggi posizionali conseguiti; consegnando al dimenticatoio eventuali spinte ideali originare.

Una situazione in cui le distinzioni perdono qualsivoglia senso. Come ne dava esplicita dimostrazione proprio l’ineffabile Pinotti nel luglio 2013, spiegando nel corso del talk-show Omnibus che lei non avrebbe avuto alcun problema a votare Daniela Santanché alla presidenza della Camera. Solidarietà tra beneficiati di un comune meccanismo di potere e relativi vantaggi materiali (extra lusso).

Tutto questo riconducibile a un più generale – inquietante – processo in atto, in cui si stanno alzando silenziosamente barriere divisorie invalicabili tra “chi è dentro” e “chi è rimasto fuori”. Insiders versus outsiders.

Un tempo la politica e la Chiesa cattolica era apprezzate istituzioni che offrivano uno sbocco meritocratico alla mobilità sociale. Ora si stanno trasformando in validi alleati di chi sta in alto, nella guerra civile non dichiarata dei ricchi nei confronti dei poveri. Scenario castale da Medio Evo prossimo futuro, in cui i Bagnasco e le Pinotti cercano un posizionamento che soddisfi tanto le loro evidenti ambizioni come le esigenze di sicurezza di status. Nella fase storica in cui il potere si fa sempre più lontano, tendendo al mistero attraverso l’illusionismo.

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