La Corte dei conti per la prima volta mette in stato di accusa il sistema dell’8 per mille. Le 109 pagine della relazione depositata il 19 novembre dovrebbero essere pubblicate sul sito del governo e diffuse in tv quando si fa la dichiarazione dei redditi. Probabilmente se fossero conosciute, cambierebbero le scelte di molti italiani. La delibera è scritta da Antonio Mezzera, un magistrato che già nel 2009 si era segnalato per una relazione coraggiosa, non a caso bloccata per mesi dai suoi capi, sul Mose di Venezia, ed è firmata dal dirigente del settore, Luciana Troccoli, e dal presidente aggiunto Giorgio Clemente.
Cosa scrivono i giudici contabili
I soldi concessi, mediante il meccanismo dell’8 per mille alla Chiesa cattolica e alle altre religioni sono troppi. “L’onere finanziario”, spara in apertura la Corte, “si comprende dalla comparazione con quanto assegnato al ministero dei Beni culturali e del Turismo, che, per il 2013 non ha raggiunto il miliardo e 700 milioni. Ciò significa che, negli ultimi anni la contribuzione alle confessioni religiose ha superato i due terzi delle risorse destinate per la conservazione del patrimonio artistico del Paese”.
La Corte mette sul banco degli imputati il sistema perché avvantaggia le confessioni religiose attribuendo loro anche la percentuale di gettito di chi non opta per nessuno (né Stato, né Chiesa né altre confessioni) in dichiarazione. “Grazie al meccanismo di attribuzione (previsto da una legge del 1985, ai tempi di Bettino Craxi, ndr) delle risorse dell’8 per mille” scrive la Corte, “i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata godendo di un notevole fattore moltiplicativo”. Per esempio, nel 2011 la Chiesa cattolica ha beneficiato dell’82,28 per cento nonostante solo il 37,93 dei contribuenti abbiano optato in suo favore. La somma totale a disposizione per il 2014 è davvero impressionante: un miliardo 278 milioni dei quali l’82,45 per cento va alla Chiesa cattolica: un miliardo e 54 milioni. Solo 170 milioni allo Stato, per le finalità speciali previste ma in gran parte disattese e le altre confessioni si devono accontentare (si fa per dire) di poco più di 52 milioni dei quali la fetta più grande (40,8 milioni) va alla Chiesa evangelica valdese.
L’impegno dello Stato a ridurre le erogazioni
Lo Stato si era impegnato a ridurre questo enorme fiume di denaro 18 anni fa. “Già nel 1996, la Parte governativa della Commissione paritetica Italia-Conferenza Episcopale Italiana incaricata delle verifiche triennali dichiarava che (…) ‘la quota dell’8 per mille si sta avvicinando a valori, superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione (…) dell’aliquota”. Nel 1996 la Chiesa percepiva ‘solo’ 491 milioni di euro. Meno della metà di oggi. “Tuttavia – scrive la Corte dei conti – negli anni seguenti, il tema non è stato più riproposto dalla parte governativa”.
L’Italia ha semplicemente rinunciato. Non a caso, nota la Corte dei conti, tutto viene fatto in gran segreto: “Manca trasparenza sulle erogazioni: sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, nella sezione dedicata, non vengono riportate le attribuzioni annuali alle confessioni, né la destinazione (…) Al contrario, la rilevanza degli importi e il diretto coinvolgimento dei cittadini imporrebbero un’ampia pubblicità e la messa a disposizione dell’archivio completo”. Renzi è avvertito: oggi stesso dovrebbe pubblicare il link al documento pdf (come faremo su ilfattoquotidiano.it) sulla home page del sito di Palazzo Chigi.
Soprattutto visto il momento di crisi: “In un contesto di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura economica – scrivono i giudici – le contribuzioni a favore delle confessioni continuano, in controtendenza, a incrementarsi avendo, da tempo, ampiamente superato il miliardo di euro”.
Il modello spagnolo spiegato dai magistrati
La Corte spiega cosa accadrebbe se fosse eliminato il meccanismo della suddivisione della parte non optata dell’8 per mille, come in Spagna: “L’applicazione della normativa spagnola all’Italia comporterebbe per la fiscalità generale un risparmio annuo di 600 milioni di euro”. Ovviamente non bisogna dimenticare il ruolo sociale svolto nei fatti – anche grazie ai soldi dell’8 per mille – dalla Chiesa cattolica e dalle altre confessioni. Per esempio le Assemblee di Dio dichiarano di destinare più del 99 per cento a interventi caritativi. La Corte ricorda che solo il 23,22 per cento dei fondi dell’otto per mille della Chiesa cattolica sono andati nel 2012 verso interventi caritativi; il 33,15 per cento al sostentamento dei ministri del culto, scopo iniziale della legge, mentre il 43,62 per cento delle somme sono destinate alle misteriose ‘esigenze di culto e pastorale’. La Corte riporta un passo della relazione del 2005 della Commissione paritetica Cei-Italia che, da parte italiana, ribadisce che la crescita della quota degli interventi caritativi “non appare ancora proporzionata all’aumento del flusso finanziario”.
Poi la Corte bacchetta lo Stato
Le somme attribuite dai contribuenti che decidono di devolvere all’Italia la loro quota di 8 per mille dovrebbero essere destinate a finalità come la lotta alla fame nel mondo, l’assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e la conservazione dei beni culturali. Per la Corte però: “la quota destinata allo Stato è stata drasticamente ridotta e dirottata su finalità antitetiche rispetto alla volontà dei contribuenti, violando l’affidamento derivante dalla sottoscrizione sull’utilizzo della stessa”. Secondo la Corte “le distrazioni rappresentano oltre i due terzi delle somme assegnate”, In pratica lo Stato ha dirottato finora 1,8 miliardi in 24 anni.
Nel 2011 e nel 2012 la quota di intervento dello Stato è stata addirittura azzerata e nel 2013 portata alla ridicola somma di 404 mila euro destinati a 4 progetti per la lotta alla fame in Africa che non si sa se facciano più sorridere o piangere. I contribuenti che optano per lo Stato (invece che per la Chiesa) non sanno che spesso i loro soldi sono usati per risanare le chiese. “Non appare coerente con la ratio dell’istituto – scrive la Corte dei conti – l’accentuata propensione al finanziamento di opere di restauro di edifici di culto o di proprietà di confessioni”. Nel 2010, per esempio, il 48,8 per cento dei fondi dello Stato pari a a ben 53 milioni sono andati al risanamento di beni culturali della Chiesa cattolica. Gli edifici dello Stato invece hanno attinto a questo capitolo di spesa solo per 51,8 milioni.
La Corte dei conti denuncia poi, anche per la parte dello Stato, “la ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi”. Più in generale “lo Stato – secondo la Corte dei conti – mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore”.
Come correggere il sistema
Secondo i giudici “a ciò ha contribuito la totale assenza (negli oltre 20 anni di vigenza dell’istituto) di promozione delle iniziative, risultando lo Stato l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie”. Alla fine la Corte dei conti non si limita a presentare l’elenco delle doglianze ma propone anzi dispone i correttivi: “Al fine di garantire la piena esecuzione della volontà di tutti, la decurtazione della quota dell’8 per mille di competenza statale va eliminata: è, infatti, contrario ai principi di lealtà e di buona fede che il patto con i contribuenti venga violato. 8n Peraltro, sono penalizzati solo coloro che scelgono lo Stato e non gli optanti per le confessioni, le cui determinazioni, al contrario, non sono toccate, cosa incompatibile con il principio di uguaglianza”.
da Il Fatto Quotidiano del 29 novembre 2014