Ne discute nel suo libro “Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le scienze naturali sull’economia” (edizioni Malcor D’, 2014) Mark Buchanan, fisico ed editorialista della prestigiosa rivista Nature, che si avventura in un avvincente excursus sulle idee e i concetti che sono alla base della teoria economica neoclassica, oggi dominante, e cerca di chiarire quale sono i concetti sviluppi nella fisica statistica, dei sistemi caotici e complessi – sviluppata nell’ultimo secolo – che possono essere utili alla modellizzazione dei sistemi economici e che al momento non sono in alcun modo considerati dall’economia neoclassica.
L’autore paragona gli economisti neoclassici a meteorologi che si ostinano prevedere il tempo trascurando tempeste e uragani: l’analogia tra l’economia e la meteorologia fornisce uno dei fili conduttori poiché le turbolenze atmosferiche sembrano avere molto in comune con gli alti e i bassi dei mercati finanziari e forniscono interessanti spunti per capire i limiti dell’ipotesi della stabilità economica. In questa situazione, nota Buchanan, la crisi non può essere prevista (e, infatti, non è stata prevista) semplicemente perché non è neppure concepita: l’economia neoclassica è fornita di una veste matematica, apparentemente simile a una scienza naturale, ma non è capace di descrivere la realtà, come il fallimento di ogni previsione mette chiaramente in luce. In fisica si possono trovare tanti esempi di teorie matematicamente corrette ma del tutto irrilevanti poiché basate su ipotesi errate: dunque queste teorie portano a risultati contraddetti dagli esperimenti. Se un esperimento è in disaccordo con la teoria non si conclude che questo discredita il metodo quantitativo quanto piuttosto si ragiona sulle ipotesi su cui è basato il modello e si identificano quali sono quelle sbagliate. E ovviamente si cambia modello: più del rigore matematico è importante la rilevanza fisica, in altre parole il confronto con la realtà.