Dunque gli armadi sono vuoti o quasi. Dalle loro pance capienti probabilmente non usciranno i segreti su stragi remote e recenti. Dispiace che la disclosure, l’operazione verità annunciata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi si sia rivelata una promessa non mantenuta, o forse, più correttamente, una scommessa persa in partenza. Era stata presentata come il crick con cui sarebbe stato sollevato il manto pesante del silenzio che nel corso di decenni ha trasformato in misteri molti casi irrisolti. Fu il primo errore. Il segreto di Stato non poteva e non può essere invocato nei casi di strage, così l’annuncio si era rivelato mirabolante e lontano dalla realtà: lo si definirebbe una supercazzola elettorale, visto che arrivò a poche settimane dalle europee.
Poi – secondo errore – c’erano i precedenti. Di aprire gli armadi lo aveva promesso a suo tempo anche il ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni, ma le ante erano rimaste sigillate o, se aperte, non avevano rivelato un granché. Esattamente come sembra succeda oggi, visto che nei file declassificati sulla strage di Brescia si trovano informative sul Pci, cioè carte che sulla strage del 28 maggio 1974 non dicono nulla. Il 20 aprile scorso, Renzi dichiarò: «Abbiamo deciso di desecretare gli atti delle principali vicende che hanno colpito il nostro Paese e trasferirli all’Archivio di Stato. Per essere chiari: tutti i documenti sulle stragi di piazza Fontana, dell’Italicum (che in realtà è l’Italicus, ndr) o della bomba di Bologna. Lo faremo nelle prossime settimane».
La cosa sorprendente in queste parole è l’immagine di trame e annessi che ne traspare. Ve lo immaginate il funzionario infedele che ordina il depistaggio di un’indagine e poi, meticolosamente, registra nomi, professioni e indirizzi degli esecutori di un disegno eversivo lasciando quell’archivio esplosivo in mani pubbliche? Naturalmente è facile gridare ora al buco nell’acqua e forse è anche presto per farlo, ma bisogna aggiungere che da subito qualcuno consigliò prudenza. Scrisse Corrado Staiano: «Le promesse non mancano mai in tempo di elezioni. Qualche volta meritano persino rispetto se l’intenzione è buona… Le carte in gran parte sono già state viste dai magistrati e dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta… Ma forse spunterà qualche dettaglio sfuggito ai giudici, la prova di qualche compromissione in più di chi aveva il dovere di difendere la Repubblica e tradì invece la Costituzione». Dunque, calma. Tanto più che, se Renzi volesse, potrebbe impegnarsi seriamente su quanto è già emerso dalle carte giudiziarie già disponibili. In questo caso bisognerebbe parlare di disclosure di carte già pubbliche e colpevolmente ignorate.
Si parla molto in questi giorni delle minacce gravi ai danni di giornalisti che si sono occupati di organizzazioni criminali organicamente legate a uomini della banda della Magliana, formazione di cui sono noti da tempo i contatti con pezzi delle istituzioni e con uomini politici, con terroristi di destra e pezzi da novanta di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Per aiutare chi, a rischio della vita, informa su questi angoli bui della capitale e della democrazia, si potrebbe cominciare a creare il vuoto intorno a questi criminali, chiedendo spiegazioni agli uomini che consapevoli o meno, direttamente o attraverso prestanome, hanno avuto a che fare con loro. Non è difficile, non ci sono carte secretate, è tutto pubblico, ma spesso ignorato.
Grossi papaveri dell’organizzazione come Danilo Abbruciati e Ernesto Diotallevi erano in rapporti d’affari, attraverso Flavio Carboni – e tal Romano Comincioli, poi premiato con un posto in Parlamento e incarichi in Publitalia – con Silvio Berlusconi. Forse l’ex Cav non aveva capito con chi aveva a che fare, forse si era fidato troppo dei suoi collaboratori, forse era semplicemente convinto che gli affari sono semplicemente affari, o forse quelle relazioni pericolose erano incluse nel patto da lui sottoscritto con la P2. Anche se ultimamente un altro patto, quello cosiddetto del Nazareno, sottoscritto da Renzi e Berlusconi, appare un po’ ammaccato, probabilmente i due avranno ancora occasione di sentirsi e incontrarsi. Il premier faccia uno sforzo e chieda qualche spiegazione. Subito dopo averla ascoltata, si chieda con chi ha sin qui concordato riforme istituzionali e della giustizia.