Silvio Berlusconi lancia l’eterno Giuliano Amato al Quirinale e un pensiero sorge spontaneo: se voleva bruciarlo ha scelto il modo più efficace e sbrigativo. Infatti, già si dice che presto sarà lo stesso Matteo Renzi a mettere una pietra sopra all’ex Dottor Sottile. Fuori uno. Invece, il presidente del Senato Piero Grasso ha fatto tutto da solo con quella dichiarazione sul nuovo presidente da eleggere “molto rapidamente”, letta come un’autocandidatura poco opportuna. Fuori due. Non va meglio alle proposte “di genere”, con la Pinotti su cui pesano gli strascichi (non giudiziari, ma di stile) del volo di Stato usato per tornare a casa, mentre l’immagine della Finocchiaro è ancora legata alla indimenticabile foto della scorta armata a guardia del suo carrello della spesa.
Ma se anche per il Quirinale emergesse un nome inattaccabile ed estraneo alla casta della politica, come quello del maestro Riccardo Muti molto quotato a Palazzo Chigi, la domanda non sarebbe meno pressante: nell’attuale Vietnam della politica italiana, chi riuscirà a raccattare i voti sufficienti per eleggere il nuovo capo dello Stato?
Il Napolitano bis dell’aprile 2013, oltre a costituire uno strappo istituzionale senza precedenti, appare oggi la riprova che in politica, come nella vita normale, rinviare i problemi significa solo trovarseli dopo peggiorati. Diciotto mesi più tardi, infatti, le Camere si apprestano a sostituire un presidente ulteriormente logorato dall’età e dalla fatica in un clima evidente di spaccatura e cospirazione. Il Pd di sinistra contro il Pd di Renzi, dentro Forza Italia Fitto contro Berlusconi con Salvini che gioca la partita del tanto peggio tanto meglio.
E dopo il Grillo “stanchino” chi può dire in quanti pezzi si sta frantumando il M5S? La verità è che in un siffatto Parlamento, nessuno può dire di avere il controllo della maggioranza necessaria per la nomina presidenziale, neppure Renzi. Lo stillicidio di votazioni per eleggere i giudici costituzionali è stato solo l’antipasto: nel segreto dell’urna gruppi e correnti, bande e confraternite, gufi e sciacalli potranno divertirsi nel tiro a segno, regoleranno i conti con il premier o lo terranno sotto scacco in cambio di qualcosa. Sempre che non spunti una soluzione miracolosa, è lo stesso scenario dei 101 che affondarono Prodi. Moltiplicato per dieci.
Il Fatto Quotidiano, 30 novembre 2014