Principi e papi che vietano i dadi
Il 7 gennaio 1590 viene emanato a Firenze un bando con cui si proibisce il gioco dei dadi, insieme a quello delle carte. «Sua Altezza Serezissima [sic]», in questo modo, vuol «provvedere a molti inconvenienti, di Bastemmie, Rubamenti e altre sceleratezze, che giornalmente nascono da Giucatori di Dadi, & Carte, & che in cambio di lavorare, & attendere alle loro botteghe, & alla loro famiglia stanno continuamente a giuocare per strade, & botteghe, contro gli ordini, & Bandi altra volta fatti» (Bando et prohibitione del giuoco di carte et dadi per la città di Firenze, et per lo Stato, et dominio fiorentino). La pena per i trasgressori? Se sorpresi a sgarrare la prima volta un tratto di fune, la seconda tre tratti di fune, la terza la galera. E se minori? Pubbliche staffilate. Per riuscire a stanare il maggior numero possibile di colpevoli era stato anche escogitato un sistema per il quale un terzo della multa sarebbe andato al “notificatore”. Poteva accaparrarselo uno stesso giocatore; oltre a ricevere l’agognato premio in denaro, avrebbe liberato «se stesso da ogni pena per tal fatto incorsa» (Bando e prohibitione del giuocare a qual si voglia sorte di giuoco a dadi, 18 luglio 1594).
Vita dura per i giocatori e per gli spettatori, soggetti alla «medesima pena […] come se effettualmente giucassino» (Bando et prohibitione del giuoco cit.). Identica storia nello Stato Pontificio. Anche qui un bando, affisso il 10 settembre 1591, dopo aver annunciato pene corporali ai danni dei giocatori di dadi, ne aggiunge l’estensione a chi semplicemente assista (Bando contra quelli che vendono & giocano a dadi). Un altro bando, lì pubblicato il 27 aprile 1590, aveva giudicato il gioco dei dadi «scandaloso & pernicioso» (Bando contra quelli che giocano a dadi).
Come la peste, ma ci si fa l’abitudine
I giocatori di dadi dovevano guardarsi dalla legge degli uomini ma temere altresì il giudizio di Dio, che «fulmina sentenza di morte, e pena infernale per bocca del grande Profeta Isaia, e secondo l’esplicatione di S. Antonino». Così un gesuita, Giovanni Domenico Ottonelli (1584-1670), nella Parenesi prima a’ giucatori […] di carte, o di dadi. Operetta raccomandata a’ zelanti predicatori (Firenze 1659). Ci va giù altrettanto pesante un altro gesuita, padre Cesare Calino:
Un giuoco assistito dal Demonio, contrario alle rinuncie del Santo Battesimo, mortalmente reo, che mette in pericolo la vita eterna, è peccato, anzi peccato mortale! per sentimento de’ Santi Padri tale è il giuoco delle Carte, e de’ Dadi: dunque il giuoco delle Carte, e de’ Dadi, per sentimento de’ Santi Padri è peccato, anzi peccato mortale. (Lezioni teologiche, e morali sopra il giuoco, Venezia 1717, tomo V, p. 32)
Disprezzava i dadi anche un padre predicatore spagnolo, Pietro di Cobarubias, che non li chiama però in causa con riferimento alla vita extraterrena. Li mette invece in relazione con l’arte dei cavalieri: dovrebbero “giocare” con la balestra anziché ai dadi, perché quello dei dadi è «giuoco di ruffiani, di buffoni & chiarlatani [sic]» (Rimedio de’ giuocatori […] nuovamente di lingua Spagnuola tradotto dal s. Alfonso Ulloa, Venezia 1561, p. 15).
Tutto questo sarebbe in ogni caso servito a poco. Due secoli dopo sarebbe stato necessario sorvolare sulle abitudini della popolazione. Constata Giuseppe Antonio Costantini (1692 ca.-1772), che pure arriva a paragonare il gioco dei dadi alla peste:
Non senza ragione […] le Leggi tutte hanno condannato il giuoco de’ Dadi, e delle Carte; e benché in ora lo tollerino, egli è perché non possono impedirlo; essendo appunto come la peste, la quale, finché ha infettato poche persone, è facile l’estirparla; ma allorché si è diffusa, conviene abbandonare ogni altro pensiero, ed applicare a seppellire li morti. Bisognerebbe perciò, che per fare esequire le Leggi contro del giuoco, i Principi lasciassero ogni altra cura, per estirpare quella orribile infezione; il che essendo imposibile, sono costretti a tolerarla. (Lettere critiche giocose, morali, scientifiche, ed erudite, alla moda, ed al gusto del secolo presente […], tomo III, Venezia 1751, p. 124)
Se una qualunque peste dilaga, insomma, tanto vale conviverci. Una considerazione molto attuale.
Massimiliano Arcangeli, Sandro Mariani