Apparentemente Applausi a scena vuota (traduzione di Alessandra Shomroni, Mondadori) è un Grossman anomalo. Ma solo apparentemente. A una lettura attenta, ci si accorge di avere davanti Grossman all’ennesima potenza. Anche se un po’ spiazza.

applausiascenavuotaForse per il tono. Perché questo nuovo romanzo, dall’impianto teatrale, è costruito come una commedia. E domina l’umorismo, più precisamente la crudeltà dell’umorismo. Ma Grossman resta un autore tragico e, se sceglie la commedia, significa che è una trappola. Infatti ci ingabbia in un monologo dei suoi, che presuppongono un ascoltatore – più oltre: un ascoltatore empatico. Nessuno dei suoi personaggi parla mai da solo, in realtà. Nei suoi libri c’è un dialogo anche quando apre bocca uno soltanto, e l’altro mai. Contro qualsiasi principio di una scuola di narrativa, un monologo è parlare in due.

L’ umorismo poi, per chi lo conosce bene, non stupisce: è sempre stato nelle sue corde, gli appartiene proprio – e non è mai stato incompatibile con la tragicità. Basta pensare alle sue passioni, fin da ragazzino: umoristi ebrei come Bruno Shulz. Certo, sentire David Grossman che inventa barzellette, lascia abbastanza a bocca aperta. Eppure, raccontato da lui, nulla è mai volgare. E’ la magia dell’intelligenza, credo, e della sensibilità.

Un po’ si sorride a immaginarlo al confronto con questo nuovo linguaggio (perché la gente come lui non affronta le barzellette come un Berlusconi: le considera un linguaggio, anche da studiare). Del resto, qui Grossman sceglie un narratore particolare. E’ un cabarettista, Dova’le, sull’orlo della pensione. Il suo modo di parlare deve essere realistico. Si tratta di calarsi nei suoi panni, tutto qui.

Al di là del dettaglio tecnico – il tono da barzelletta perché il protagonista fa cabaret – siamo nell’opera di Grossman in pieno, proprio dentro le fondamenta. Che sono solide perché fatte sempre dello stesso ottimo materiale: tutto si costruisce su un rapporto che scardina l’identità di qualcuno. Ci sono due persone a confronto e una delle due ha un ruolo preciso: è il coltello che serve a sezionare l’altra. C’è un uomo che si mette a nudo per un qualcun altro, insomma. Questa operazione può essere struggente o respingente, non importa. Conta l’intensità, l’assenza di difese, l’ascolto assoluto, la capacità di mettersi in discussione. Conta l’atto in sè, lo sforzo che sta dietro. Che poi è una metafora dello sforzo che deve fare la scrittura, raschiando via con le unghie tutto quello che non serve per raggiungere quello che ha davvero valore, il tesoro sepolto nella terra. Qui sta la profondità di David Grossman, che lo rende uno dei più grandi scrittori viventi, con pochissimi adeguati paragoni: è capace di entrare negli altri. Non importa che lingua parlino, saprà sempre parlarla anche lui.

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