Sul Fatto del lunedì del primo dicembre abbiamo raccolto le testimonianze di chi vive come "parte debole" le separazioni dei genitori. Scriveteci a lunedi@ilfattoquotidiano.it
Il divorzio visto dalla parte debole: i figli. Sul Fatto del lunedì del primo dicembre abbiamo raccolto le storie dei lettori, quelli che hanno vissuto sulla propria pelle ciò che secondo gli psicologi è un lutto più che un distacco. Abbiamo chiesto a chi ci legge di aiutarci in questo percorso e ora pubblichiamo alcuni dei racconti che abbiamo ricevuto. Ecco le vostre testimonianze. Scriveteci a lunedi@ilfattoquotidiano.it
“Non ho mai visto i miei genitori litigare, ma nemmeno abbracciarsi”
Quando i miei genitori si sono separati avevo 19 anni: non una bambina, quindi. E tuttavia è stato un evento traumatico, “diversamente traumatico” direi. Io sono figlia unica e i miei non mi hanno mai fatto mancare nulla – come si suol dire – non ho mai visto mio padre e mia madre litigare, né mai mancarsi di rispetto in alcun modo, ma non li ho mai visti nemmeno abbracciarsi o scambiarsi un bacio, o una carezza; riflettendoci a posteriori, il punto è che non li ho mai visti comunicarsi in maniera aperta e sincera nessuna emozione… non che non ci fossero, suppongo, semplicemente non venivano manifestate. E così, sempre nella massima educazione, è andata anche la faccenda della separazione: mio padre da qualche tempo era particolarmente affettuoso con me, tant’è che stavo iniziando a immaginare avesse qualche brutto male e non sapesse come dirmelo, e poi un giorno mi prende in disparte e mi comunica che sta pensando di andare a vivere da solo perché aveva bisogno di “riprendersi un po’ i suoi spazi” – a sessant’anni, dopo trenta di matrimonio! Aveva un’altra, ma questo evidentemente non gli è sembrato importante da dire, in quel momento. La mia risposta è stata che era adulto e sicuramente sapeva quello che stava facendo: lui e mia madre sono sempre state due persone molto diverse tra loro e io mi ero chiesta più volte, in realtà, come avessero fatto a finire insieme; non mi sono sentita di dirgli altro. Passa circa un mese nella calma più totale: nulla accade, nulla cambia. Una sera, dopo cena, lui si alza, infila la giacca e dice: “Vabbe’… allora, io vado”, e se ne va. Mia madre mi guarda e mi dice: “Cosa vuol dire? Dove va?”. Qui, esattamente qui, si è sgretolato il mio universo e mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi e totalmente sola a far fronte a qualcosa che non avevo idea di come gestire. Pare le avesse scritto una lettera tempo prima in cui educatamente le manifestava le sue intenzioni… ma lei stava ancora aspettando, educatamente, di parlarne con lui. Sono seguiti anni confusi: mia madre, la donna razionale per eccellenza, è crollata. Una volta è andata via da casa (ancora oggi non so dove sia andata) dicendo che tanto ormai non eravamo più una famiglia; cercava disperatamente un responsabile, e io ero il bersaglio più vicino. Mio padre ha cercato di stemperare il senso di colpa diventando particolarmente generoso e tentando di avvicinarmi al nuovo nucleo familiare che andava creando, il che ha prodotto effetti contrari alle sue aspettative, perché io, lì, mi sentivo un’esclusa, e quando rientravo a casa mi sentivo una traditrice; per cui, alla fine, mi sono rifiutata di andarci: ancora adesso, che il tempo è passato riconciliando tutti, quando ci incontriamo lo facciamo “in campo neutro”, in un bar o al ristorante. Per parte mia, in quegli anni, ho tentato di tenere con le unghie e coi denti le redini della mia vita: ho continuato a dare gli esami in università senza saltare nemmeno un appello, ho messo chilometri tra me e la mia famiglia cercando di sfuggire per non ritrovarmi incastrata nel mezzo e mi sono corazzata convincendomi che potevo contare solo su me stessa, una corazza che ha reso decisamente complicata la mia vita sentimentale e che ho pagato “a rate” e a distanza di tempo. Ma il senso di impotenza che si prova assistendo alla propria famiglia che si sgretola, senza avere gli strumenti né la posizione per poter fare qualcosa, ha provocato in me anche un enorme desiderio di riscatto: oggi sono una psicoterapeuta famigliare, specializzata nella comunicazione, e sembra che io sia brava nel mio lavoro.
Elisabetta
“Ho pensato di essere un peso”
La separazione dei miei genitori è stata in un primo momento molto traumatica. La sensazione di risultare un peso e un problema per il distacco tra di loro è la prima ad investirti, soprattutto all’età di 13 anni. Oggi sono passati 6 anni da quel giorno e le cose si sono ribaltate: ho imparato che le difficoltà sono la miglior scuola per ognuno di noi e che la famiglia può essere una falsa realtà e non sempre la culla perfetta per il figlio ideale. Adesso sento paradossalmente di doverli ringraziare per avermi dato una vita serena e felice in una famiglia diversa da tante altre.
Nicola Bellini, un vostro appassionato lettore
“Il bene dei figli viene prima, sempre”
Mi chiamo Paolo Pozzessere e sono nato a Bari nel 1957. I miei genitori si sono separati nel 1963 perché mia madre ha avuto una relazione con un altro uomo (allora si diceva un’adultera). Purtroppo allora era in vigore il vecchio diritto di famiglia e quindi sono stato sottoposto a violenze psicologiche inimmaginabili, dovendo recarmi anche in tribunale a deporre. Sono stato purtroppo affidato a mio padre, che era un giovane ufficiale di marina e che quindi non c’era mai. Ho vissuto una adolescenza orribile e ci siamo trasferiti a Roma nel 1968. Il divorzio dei miei genitori è stato o il secondo o il terzo in Italia: l’avvocato di mio padre era l’avvocato Fortuna, firmatario della omonima legge. La sentenza ebbe l’effetto di creare quasi subito due nuove famiglie, quelle di mio padre e quella di mia madre. Io sono andato via da casa a 19 anni perché non sopportavo tutto questo. Mio padre è morto quando io avevo 20 anni e poi anche mia madre con la quale non sono mai riuscito ad avere un rapporto umano, sopratutto per la mia sbagliata diffidenza nei suoi confronti. Ho iniziato a lavorare nel mondo dell’informatica e mi sono laureato lavorando. Ho fatto tutta la gavetta che era giusto fare fino a rincontrarmi con la giustizia quando ero già da tempo il direttore commerciale di Finmeccanica, ma questa è un’altra storia… Ho tre meravigliosi figli da due diverse madri e in pratica viviamo tutti insieme in una grande famiglia allargata. Per arrivare a questo magnifico risultato è bastato fare il contrario di quello che avevano fatto i miei genitori, divorzio incluso. Il bene dei figli viene prima, sempre. Siete liberi di pubblicare il mio nome se serve ad altri ex-bambini o neo divorziati.
Paolo Pozzessere
“Un lavoro per colmare i vuoti del distacco”
Se adesso è considerato quasi un fenomeno di massa, alla fine degli anni ’80 ed inizi anni ’90, la separazione o il divorzio era una condizione che in molti vivevano, ma della quale si parlava poco o niente, certamente non del trauma vissuto dai figli. Io a quell’epoca, ero un bambina di sette o otto anni, mediamente felice e cosciente della mia realtà quotidiana: ero figlia di separati e fiera di comunicarlo al mondo.
Ogni estate facevo vanto della mia situazione familiare con i miei compagni di castelli di sabbia, soprattutto con le loro nonne indiscrete e pettegole o con le mamme curiose.
La mia storia iniziava così: “Mi chiamo Eleonora, i miei genitori sono separati da tanto, ho un fratello di un anno più piccolo di me, ma lui ha una mamma diversa. Nostro padre ci viene a prendere il mercoledì ed il sabato, facciamo i compiti, giochiamo, andiamo al cinema, allo zoo e mangiamo la pizza…ci divertiamo un sacco. La vigilia di Natale la passiamo con lui ed il 25 con le nostre mamme, mentre a giugno andiamo sempre due settimane in campeggio tutti e tre insieme”. Alla fine del racconto, si scambiavano sorrisi maliziosi o borbottavano qualcosa che io non riuscivo a decifrare. Ovvio, non tutti facevano così.
Spesso mi sono domandata lo scopo del mio agire e l’unica spiegazione sembra derivare da una volontà di rendere partecipi gli altri della mia situazione, quasi a normalizzare l’evento. Oppure l’intento era di sentirmi più accolta, una volta messe in chiare le cose, o forse per porre fine alla noiosa litania di domande che ogni nuovo conoscente occasionale, poneva. In fin dei conti, la mia normalità consisteva in questo: non avevo mai visto i miei abbracciarsi, dormire nello stesso letto o scambiarsi sguardi complici sul divano, ergo, vivevo in un’apparente serenità fino a quando le domande non hanno iniziato a scalpitare nella mia testa, destandomi dal torpore infantile e facendomi assaggiare i primi sapori agrodolci, che niente avevano a che fare con la cucina asiatica, ma piuttosto rendevano quella nuova esplosione di sapori, un evento da comprendere e gestire.
Non dimenticherò mai la frase del mio primo storico ragazzo, il quale, intimorito dai nostri anni insieme, disse di avere sentito in televisione che i figli di divorziati fanno a loro volta la stessa cosa. Per diverso tempo ho creduto e temuto che fosse davvero così. Durante l’adolescenza cercavo di “fare squadra” con altri figli di separati, frequentando ed amando, ovviamente, anche i miei amici “normali” che ogni sera cenavano con mamma e papà. Ma con i primi lo scambio era più equo, si poteva parlare dei doppi regali di compleanno e delle vacanze estive multiple, così come dei litigi per i soldi, per la casa da dividere e per le reciproche colpe su chi vizia di più il figlio o se disinteressa.
Mi sono spesso domandata quale sia il nascondiglio interno di ognuno, nel quale risiede la macabra ampolla dell’odio, che trasforma l’amore in un sentimento di pari intensità, ma totalmente opposto, in così poco tempo. Ho cercato di superare la mia anoressia, il senso di abbandono, i sensi di colpa costanti e la morte prematura di mia madre, anche se personalmente, la cura alle mie pene è stata la mia professione: essere mediatrice familiare, per ironia della sorte o scelta inconsciamente indotta, mi ha permesso di esplorare i fondali del mio essere, smuovere le emozioni stagnanti e renderle accettabili e controllate, nonché trasmettere, forse, quel qualcosa in più agli altri che vivono una situazione simile. Purtroppo questo lavoro a mio avviso, estremamente necessario oggigiorno, non viene sufficientemente apprezzato, ma racchiude in sé le potenzialità per colmare i vuoti lasciati dal distacco emotivo e fisico, sia per i genitori che per i figli.
Eleonora
“Una delle decisioni più sagge che mia madre abbia mai preso”
Avevo 7 anni, mio fratello 3. I miei ricordi sono quelli che sono, purtroppo. Ma ci sono sensazioni che non si dimenticano e ti restano appiccicate addosso, ti accompagnano per il resto dei tuoi giorni. Ricordo che in casa c’era un’aria irrespirabile, pesante. Ricordo le urla, e ancor più i silenzi. Ricordo le lacrime di mia madre e la fatica (anche fisica) che faceva per mantenerci tutti, padre nullafacente compreso.
Nulla è mai stato facile, né prima, né dopo. Ma di una cosa sono stata certa fin da subito, nonostante i soli 7 anni (si cresce fin troppo in fretta in queste situazioni familiari): se mamma e papà devono vivere una vita d’inferno “per amore” dei figli, quella non è vita. Né per loro, né per i figli. E quello non è amore. La separazione dei miei genitori è stata una delle decisioni più sagge che mia madre abbia preso in vita sua. La separazione è stato il vero bene, per tutti noi. E’ stato difficile, non lo nego: la rabbia, l’odio. Prima per una madre che sembrava “cattiva” ai nostri occhi di bambini, e poi per un padre assente… non sono sentimenti facili da superare e ti condizionano nel profondo, soprattutto nei rapporti sociali e nella propria autostima… ma quando poi, crescendo, ti rendi conto che quelle decisioni hanno forgiato la forte corazza che ora ti aiuta ad affrontare la vita, non puoi far altro che dire: grazie mamma”.
Giada GB
“La separazione dagli occhi di un figlio”
La mia storia ormai è vecchia di quasi 14 anni io ne avevo 12 al tempo, un ragazzino insicuro molto emotivo e con un carattere ancora da formare. La notizia arriva nell’inverno del 2000 circa, quando da un giorno all’altro mio padre non tornò più a casa. Sparì per un mesetto almeno, non si voleva far vedere fino al giorno che lo rincontrai fuori scuola che mi aspettava per darmi una pseudo spiegazione del perché era sparito, non perché fosse colpevole ma semplicemente perché non riusciva a guardarci in faccia e dirmi la verità. La verità era che mia madre aveva trovato un’altra persona ma a sua volta lei non aveva trovato il coraggio di dirlo e quindi si è portata avanti questa storia per 2 anni fino a che non si è trovata costretta ad uscire allo scoperto. Le reazioni sono state tante e veramente poco piacevoli, sopratutto per il fatto che non ho saputo subito la motivazione della separazione ma anni dopo e questo ha portato a tutta una serie di “modifiche” nella crescita mia e di mio fratello. Diciamo che questa storia è stato un po’ uno sliding doors nel senso che se questa separazione non avesse avuto luogo io probabilmente sarei stato una persona diversa, più sicura, meno nervosa e tendente all’ansia e alle dipendenze. Dico questo perchè vedere la figura del padre soffrire in quel modo, vedergli passare tutti gli stadi della sofferenza e esserne anche parte, mi ha cambiato. La mia mente era piena zeppa di domande come: sarà per colpa mia? Mamma si è stancata di questa famiglia e ne vuole un’altra? Perché non mi dicono i motivi? Tutte queste domande hanno cominciato a montare dentro di me una rabbia e sensazione di impotenza che potevo esternare solo con gesti “eclatanti”, come fare il diavolo a quattro a scuola per attirare l’attenzione! Mi sentivo poco compreso e “sballottolato” da una parte all’altra e una sensazione di fragilità che mi si mangiava vivo, più era forte questa sensazione e più tiravo fuori le unghie con me stesso e con il mondo che mi era vicino. Le reazioni dei miei genitori sono state simili, cioè tutti e due tiravano l’acqua al proprio mulino incolpandosi a vicenda e mettendoci contro l’uno o l’altro a seconda di chi sentivi parlare (quasi dovessimo decidere per forza di dare ragione o dare contro all’uno o all’altra) incasinando ancora di più le nostre idee di figli. Mia madre attaccava per non essere attaccata e mio padre era diventato fobico delle bugie e quando capitava che magari ne dicevo una un po’ per l’età un po’ per proteggermi scoppiava il putiferio, venivo messo allo stesso piano di mia madre che lo aveva tradito. I mesi successivi fino a i miei 18 anni sono stati come quelli di chiunque abbia affrontato una separazione, i week end con papà e la settimana con mamma (precisazione: i miei non erano sposati). Arrivarono poi anche le problematiche del contribure economicamente alle spese da parte di mio padre che non voleva dare soldi, ma preferiva comprarci quello chi ci serviva e consegnarlo direttamente nelle nostre mani, mia madre perciò minacciava ogni due per tre di chiamare un avvocato o di denunciarlo quindi anche la mia angoscia cresceva; poi le sedute psichiatriche di mia madre che tante volte non controllava le sue reazioni dovute a i farmaci e con repentini cambi d’umore. Tutto ciò non è mai sfociato in un confronto diretto con i miei genitori perché chi per un motivo chi per l’altro attaccavano per non essere attaccati, chissà forse sapevano che il loro comportamento era sbagliato ma non avevano coraggio di affrontare la verità! Sentirsi cedere la terra sotto i piedi e perdere quei punti di riferimento che nella vita sono fondamentali per lo sviluppo caratteriale di un figlio sono stati un danno per me, un danno che posso vedere chiaramente, un danno di cui non ti puoi liberare facilmente. Cresci prima del tempo perdendo quel meraviglioso periodo di spensieratezza che contraddistingue la crescita di un essere umano, pensi da adulto anche se non lo sei e questo ti preclude tutta una serie di rapporti con ragazzi e ragazze della tua età, ma non solo perchè non essendo né adulto né adolescente le reazioni emotive a problematiche da “grandi” sono quelle di un ragazzino: esagerate, la mancanza di fiducia nel mondo femminile e la paura delle bugie…ti lasci andare con difficoltà. Ci sono tante altre cose che vorrei e potrei scrivere ma mi vengono in modo frammentario e sconclusionato, quindi passo e chiudo, spero di essere stato chiaro nel raccontare.
M.B
“La mia non si è mai potuta definire famiglia”
Mi chiamo Davide, sono un ragazzo di 26 anni che ha vissuto in prima persona la fine del triste matrimonio dei genitori. La mia non si è mai potuta definire “famiglia” in quanto la figura paterna, in termini affettivi, non c’è mai stata. Nella prima infanzia sono stato partecipe di piccole e grandi “crisi domestiche” come spettatore silenzioso, poi col passare degli anni sono entrato con voce forte in queste, difendendo sempre a spada tratta mia madre in quanto a mio modesto parere “lui” non ha mai avuto ragione; ora giustifico la mia opinione portandovi alcuni esempi. All’arrivo di ogni bolletta iniziavano a volare imprecazioni a toni molto alti da parte di lui e discussioni altrettanto accese con lei: non si doveva spendere per l’energia (luce, acqua, gas) quindi per tutti i servizi ad essa legati (lavarsi, riscaldamento). Questo si traduceva in vasche da bagno riempite in sua assenza per evitare di fare la doccia nella fredda cantina e visite a vicini di casa, amici o centri commerciali per ovviare al freddo della nostra casa. Un freddo non solo in termini di temperatura, ma anche in termini di amore. Mia madre mi proteggeva così, poi al compimento dei tredici anni ecco la moto, quindi l’inizio della libertà, con i diciotto la macchina, quindi ancora più indipendenza e possibilità di star lontano da casa, una casa mai sentita tale. Per me l’acquisto dell’autovettura ha comportato un grande disagio: per avere il fondo necessario per acquistarne una ho dovuto sacrificare l’intera adolescenza andando a lavorare come pizzaiolo; tutti i week-end, tutte le estati, tutte le festività nel periodo delle scuole superiori passati a lavorare, non conducendo uno dei periodi più belli della vita come la maggior parte dei miei coetanei. Ora devo cambiare macchina e quei pochi soldi che ho potuto risparmiare in questi due anni di lavoro precario sottopagato ed un secondo lavoro come pizzaiolo li vedrò sfumare e per la seconda volta dovrò ripartire da zero nell’impresa di crearmi un futuro, perché anche stavolta, gli aiuti sono pochi (ora fortunatamente ho un lavoro a tempo determinato con retribuzione dignitosa anche se poco attinente alla mia laurea). Infine un fatto che mi ferisce profondamente: non è mai stato presente ai miei compleanni; mamma organizzava grandi feste e lui non c’era mai perché non sopportava il fatto di avere degli “estranei” a casa sua.
Più o meno quando avevo 22 anni ho avuto un’accesa discussione dopo delle offese nei confronti di mamma e nonna; da li non abbiamo parlato per un anno e mezzo, poi ho voluto riallacciare perlomeno un minimo di rapporti. Non lo voglio far apparire come una figura cattiva: non beve, non fuma, non ha mai alzato un dito contro mia madre o me, ha solo il problema di essere troppo attaccato i soldi e questo ha rovinato parte della vita di mia madre e parte della mia gioventù. In conclusione io sono felice che i miei genitori si siano separati perché non ho mai visto mia mamma tanto felice quanto lo è da quando siamo andati via di casa. Non ho mai sentito di aver avuto una figura paterna. Personalmente penso che mamma dovesse andar via prima e non quattro anni fa, ma lei mi ha sempre detto che l’ha fatto perché “voleva assicurarmi un futuro”. Per chiudere questo mio contributo lascio una mia riflessione riguardo questa triste storia: “Se non vuoi avere un figlio, se non vuoi avere una famiglia perché rappresentano entrambi SOLO voci negative nel tuo tornaconto, evita di fare certe scelte nella tua vita. Eviterai il disagio di molti”.
Davide T.
Figlio di genitori divorziati, futuro genitore divorziato
Oggi ho 57 anni, all’epoca che i miei genitori divorziarono mancavano pochi mesi al compimento del mio undicesimo compleanno. La mia era una famiglia composta da mio padre, mia madre, me, mio fratello più grande di me di sei anni e mia sorella più grande di nove anni. Ricordo ancora la mattina di quando mia madre lasciò casa, era in piedi in cucina vicino al lavello e piangeva in silenzio, io non chiesi nulla, ma da quel giorno non la vidi prima di qualche mese e poi sempre più di rado, prima di allora mai un litigio fra i miei genitori. Restammo con nostro padre e penso oggi sia stata la cosa più giusta.
Oggi posso dire che il divorzio quando ci sono i figli è la cosa peggiore che possa capitare ed è per questo che ora che mi trovo ad affrontare la stessa problematica con mia moglie sto cercando di fare questo passo quando più tardi possibile, almeno fino a quando i miei figli non abbiano compiuto l’età maggiore. Mio figlio mi ha detto un giorno: papà non divorziare perché altrimenti io finirò pazzo come un mio amico i cui genitori hanno divorziato e lui ora si droga. Forse ha esagerato, ma un po’ aveva ragione, da figlio posso dire che quando i genitori divorziano si perdono da figlio tante certezze e questa perdita ti può portare a fare cose che altrimenti non faresti e ti lascia un vuoto che ti peserà nel proseguo della vita. Il divorzio fra i miei genitori ha portato un vuoto che non è stato più colmato, se non da tante incertezze. Della mia esperienza posso dire che mi è rimasta la paura di perdere i legami affettivi all’improvviso e questo non mi ha agevolato in una vita affettiva normale, mio fratello si è chiuso in se stesso pur avendo ottime capacità e mia sorella solo molto tardi si è legata al suo attuale marito più avanti negli anni di lei.
Oggi che mi trovo da genitore a dover compiere il passo che i miei genitori fecero tanti anni fa, penso ai miei figli e francamente non so quale sia la cosa migliore, di sicuro in un divorzio non ci sono vincitori ma solo vittime. Grazie di avermi dato la possibilità di raccontare la mia esperienza che spero sia utile a far comprendere che il divorzio, quando ci sono i figli è un passo molto difficile che è da fare con molta ponderazione.
“Sono stato usato come arma tra gli infiniti litigi”
Per mantenere l’anonimato riferirò a me stesso come Giorgio. Spero questa contribuzione possa essere di aiuto. Mi scuso sin da ora per il mio italiano ma vivo all’estero e sono 6 anni che non scrivo regolarmente in italiano. I miei si separarono quando avevo l’età di 10 anni. La comunicazione mi arrivò qualche settimana/mese dopo che la decisione fosse presa anche se intuivo da poco tempo prima della possibilità che ciò accadesse. Un’esperienza che non immaginavo mi avrebbe segnato così tanto nel mio avvenire. Durante i primi anni mi tenevo molto positivo. Pensavo al fatto che la separazione dei miei fosse la cosa migliore visto che non andavano d’accordo. Pensiero che continuo a condividere. Adesso ho 25 anni. Da qualche anno ho cominciato a spostare l’attenzione dal fatto che fosse la cosa giusta da fare al come è stata gestita la situazione da parte dei miei genitori nei miei confronti. Dopo tanti anni mi sono reso conto che sono stato utilizzato come arma tra gli infiniti litigi seguiti dopo la separazione dei miei tra loro due. Un po’ come dire oltre il danno (la separazione in se) anche la beffa (l’essere messo contro mia madre da mio padre e viceversa per innumerevoli anni). Questo ha determinato anche un mancanza di attenzioni nei miei riguardi (visto che spesso l’attenzione era spesso focalizzata sulla loro situazione). Ad oggi faccio un netto distinguo tra mia madre e mio padre e ci considero come tre entità nettamente separate (invece che una famiglia) nonostante i rapporti sono migliorati in maniera smisurata (i miei si sono persino scusati l’uno con l’atro e mia madre si è scusata con me). Psicologicamente credo di avere ancora post traumi legati al passato che riesco anche vedere nelle problematiche che ho nel cominciare ed intrattenere rapporti interpersonali. Ho fatto ricorso ad uno psicoterapeuta per del tempo ma non vedo ancora l’arrivo del traguardo e ho lasciato. Personalmente credo che genitori che si separino debbano essere più informati e formati su come rendere meno doloroso queste situazioni per i figli, non solo per il breve termine ma anche per i danni psicologici che possono creare a lungo termine. Lo stato in tutto ciò dovrebbe dare supporto per esempio istituendo delle classi per genitori che stanno per separarsi per spiegare loro comportamenti da evitare e conseguenze a breve e lungo termine di comportamenti non idonei alla salute mentale dei figli. In fondo non credo che i miei genitori volessero farmi del male di proposito. E se avessero avuto qualcuno che gli potesse mostrare che a causa dei loro comportamenti avrei sviluppato problematiche comportamentali in futuro sono sicuro ci avrebbero tenuto un po’ più a bada la loro rabbia nei confronti di loro 2 ed evitato di utilizzarmi come arma da combattimento.
“Mio padre ha colto l’occasione per sparire”
Apprezzo questo vostra iniziativa e con la presente intendo per sommi capi riferire la mia esperienza di figlia di genitori separati e poi divorziati. Mio padre appena introdotta la legge sul divorzio ha immediatamente colto l’occasione di sparire e poi ha avviato una lunghissima battaglia legale durata circa 20 anni che poteva permettersi, avendone le risorse economiche (mia madre un po’ meno). Il suo principio era il seguente: da indomito toscanaccio un po’ anarchico (era vissuto a Carrara) sostenendo di essere un “galantuomo” non accettava che un giudice gli potesse imporre di mantenere moglie e due figlie (io avevo 5 anni e mia sorella 12); peccato che il mantenimento dovesse essere rimesso alla sua discrezionalità e mia madre avrebbe dovuto fidarsi di lui (sic!).
Mi preme precisare che nelle separazioni degli anni ’70 e 80 innanzi al giudice si presentava una famiglia completamente diversa da quella di oggi in cui la donna, nella maggior parte dei casi, era casalinga e priva di reddito proprio, mentre il padre non si sognava di chiedere l’affido dei figli, essendo pacifico che stessero con la madre e se i figli volevano passare del tempo col padre, bene, altrimenti pazienza. Tutte le cause ruotavano unicamente intorno ad aspetti economici.
Quello di cui ho un chiaro ricordo è che quando dalla sera alla mattina scoprivi che tuo padre non rientrerà a casa non è che ti venissero date tante spiegazioni e nessuno (giudici compresi) si preoccupavano dei risvolti psicologici di detta destabilizzante situazione, tale soprattutto in ragione del fatto che nessuno ti informava di nulla. Ricordo di averne preso atto e basta e, sebbene non ci capissi nulla, il mio comportamento è rimasto uguale e, ogni tanto, arrivavano cartoline da mio padre dai posti in cui trascorreva le vacanze e quando lo si vedeva, una volta al mese per consegnare a mia madre l’assegno, portava a me e mia sorella bamboline con costumi tipici dei suoi viaggi e parecchi dolci. Certo, sicuramente non era il massimo, ma ad un certo punto ho pensato di farmi i fatti miei e che il fatto di non avere un padre non mi rendeva diversa dagli altri bambini o adolescenti. Ovviamente i miei genitori si parlavano tramite avvocati, peraltro impreparati ad affrontare dette vertenze e per nulla preoccupati delle conseguente psicologiche dei minori tant’è che ricordo che sia io che mia sorella a volte accompagnavamo mia madre dal legale e, comunque, lei non si è mai astenuta dal tenerci fuori dal conflitto economico in corso facendoci anche leggere gli atti che poi, da adulta, mi sono rifiutata di leggere; la situazione non era delle migliori però oggi capisco che mia madre ha cercato di fare del suo meglio e se ha sbagliato non è stata una colpa grave, bensì una debolezza, avendo a che fare con un egoista irresponsabile che voleva fare solo il comodo suo. Una volta cresciuta e diventata avvocato ho potuto constatare, anche attraverso i racconti di Colleghi che si occupano prevalentemente di diritto di famiglia, che oggi spesso la parte debole è divenuto l’uomo che viene trattato come un bancomat dalle ex mogli persino infastidite che questi chieda sia di esercitare il proprio diritto-dovere ad educare la prole sia di frequentare i figli, così come prevede la normativa sull’affido condiviso.
Quanto ai minori spesso hanno più risorse e buon senso dei loro genitori, dei giudici, degli psicologi e degli assistenti sociali e, come me, cominciano letteralmente a non ascoltare più le beghe relative alla separazione e a barcamenarsi tra due litigiosi genitori che si contendono i figli, ma più per infliggere una sconfitta all’altro che per tutelare il proprio ragazzino. In fondo questi ragazzini si abituano prima dei loro coetanei a gestire le grane che la vita immancabilmente ti propone continuando a volere bene a genitori molto imperfetti.
In sostanza, e senza generalizzare, credo che talvolta si esasperano i traumi che i minori o gli adolescenti vivono in occasione di una separazione, disagio che ovviamente esiste e con cui prima o poi si faranno i conti, ma che è temporaneo e lo si può superare allertando tutte le risorse, interiori, psicologiche e culturali che ciascuno di noi possiede. Infine, ad un certo punto si comincia a vivere la propria vita e si è presi da altre tematiche ad. esempio un amore, un conflitto coi professori o i compagni di classe, il lavoro (che non c’è per tutti) ecc. ecc.
Mi rendo conto di aver semplificato, ma ho il sospetto che ogni tanto attorno ai “traumi dei minori” o alla loro contesa ruoti un pletora di personaggi che possono anche guadagnarci ad alimentare il conflitto o a vedere problemi dove non ce ne sono o se esistono possono essere superati col divenire della vita.
Paola Castelli
“Sofferenza e distacco per i figli”
Avete chiesto di scrivere la nostra storia in breve e di seguito lo farò, ma la motivazione che mi ha spinta a farlo è la certezza che a lungo andare il divorzio renderà migliori le relazioni tra gli esseri umani. Sembra assurdo sentirselo dire così, ma la sofferenza ad esso conseguente e il forte distacco che esso comporta per i figli, in un periodo in cui il carattere di quest’ultimi è in divenire, li rende più sensibili e quindi più attenti e coinvolti al mondo che li circonda. A confronto, non c’è “preparazione al matrimonio” che tenga e soprattutto non si è mai “pronti” allo sconvolgimento radicale della propria vita all’arrivo dei figli. Non basta la “buona volontà” e la semplice presenza fisica per avere la certezza che “tutto andrà come previsto” e cioè “tutti insieme appassionatamente, felici e contenti”. I miei genitori si erano separati quando avevo 12 anni in modo brusco e traumatico lasciando ferite che non si sono mai rimarginate nemmeno adesso a più di 35 anni di distanza. Ho passato l’adolescenza e gran parte dell’età adulta incolpando mio padre di non aver saputo e/o voluto assumersi le sue responsabilità come compagno e genitore. Nelle liti tra di loro, il cuore con i suoi sentimenti feriti occupava talmente tanto spazio, che non si è mai riuscito a comprendere esattamente dove svaniva l’ascolto dell’altro e come ognuno di loro aggiungeva, un pezzettino alla volta, intere parti al puzzle della loro incomprensione. Sia io che mio fratello abbiamo lasciato quindi molto spazio alla razionalità, nella convinzione che non ci fosse una strada migliore per affrontare le relazioni umane. All’idealista sognatore siamo sfuggiti e abbiamo cercato il compagno terreno e pragmatico che si avvicinava di più al genitore che si era preso cura di noi, all’etereo abbiamo opposto il concreto, all’incentrato sul benessere personale il gran lavoratore, al simpatico e divertente l’affidabile.
Nel mio caso non ha funzionato. Un lungo e travagliato percorso psicologico mi ha portato a mia volta a separarmi nella speranza (ultima) di dare una seconda possibilità a tutti i componenti della mia famiglia, confortata dal supporto di mio figlio (allora settenne) che non vedeva un “colpevole” a turno, ma solo due metà che non si “incastrano bene”. Dopo dieci anni in cui il mio ex marito ha pagato gli alimenti, li ha incontrati regolarmente, non ha mai creato problemi dal punto di vista patrimoniale, un giorno ho sentito mio figlio dire che “suo padre non sa fare il genitore” con una certa dose di rassegnazione e tristezza. Non è stato sicuramente facile arrivare ad una tale conclusione e la cosa che più mi riempie di orgoglio è che non ho sentito né odio, né astio nelle sue parole, seppur gravide di frustrazione e impotenza.
E’ questa sensibilità che ho visto nei miei figli a convincermi che saranno delle persone migliori, capaci di cogliere i piccoli segnali di malessere in chi starà loro vicino e che li aiuterà a comprendere gli altri più di come hanno visto fare le generazioni precedenti della loro famiglia.
E’ vero che il “divorzio breve” aiuta forse i genitori a “fare meno la guerra” (oppure ad accorciarla), ma quello che più incide a prolungare una situazione conflittuale o quantomeno non aiuta i figli di queste coppie a vivere serenamente la loro vita ha a che fare con tutta quella rete sociale che hanno intorno, rete fatta di parenti, amici, conoscenti, insegnanti ecc., che a volte per ignoranza, ma tante altre per pregiudizio o per paura di farsi coinvolgere, parteggiano per una delle due componenti in conflitto, seppur non sempre volontariamente. Io credo che la statistica ha potuto raccogliere una sufficiente quantità di dati in tutti questi decenni di legalizzazione del divorzio per poter accogliere istanze più rapide e meno “invasive” per così dire. Rimane moltissimo da fare sul piano umano e sui meccanismi che portano a fare le scelte personali, ecco perché sono così convinta che solo – paradossalmente?!? – passando “in mezzo al guado” si avranno sempre più gli “strumenti” per “andare oltre” perché è vero che l’empatia aiuta a percepire meglio le emozioni che tutti viviamo, ma sperimentando in primo luogo un percorso di vita difficile aiuta a spostare il focus dalla propria sofferenza al trovare una soluzione per uscire e non in ultimo luogo a renderci animali più compassionevoli.
Grazie,
R.D.
“Non c’è mai banalità nella paura di un bambino”
Non c’è mai banalità nella paura e nel dolore di un bambino che perde la segnaletica, perché due genitori, che non sono mai stati genitori, decidono di trasformarlo nella responsabilità del loro fallimento umano. Ora sono un adulto sopravvissuto all’infanzia che può raccontare la sua storia di infelice da sempre, che continuerà a domandarsi che razza di comandamento è “onora il padre e la madre”. E a me chi mi ha mai onorato mai? Loro due, prendendo alla lettera “finché morte non vi separi”, hanno fatto morire me tante e tante volte e hanno resuscitato me tante e tante volte come in uno spettacolo di illusionismo, fino a rendere le mie forze al lume. Ho sentito spesso “sono i tuoi genitori e ti vogliono bene anche se si comportano così”. Mi sono sentito tradito, defraudato e arrabbiato sempre, poi diventando grande ho cercato di ristrutturare la mia segnaletica interiore per seguire la mia strada, che è arrivata ad incrociare il mestiere che faccio con fatica, passione e orgoglio: l’educatore professionale.
“Tuo padre ha un’amante”
Seicento caratteri, tanto chiedete. Ogni carattere quanta sofferenza porta? La “s” di seicento racconta di quando bambinetto mia madre mi “informò” che mio padre aveva un’amante. Un corridoio lungo, e io trascinato di forza giù giù giù eppoi ancora giù, il grido lacerante, un mondo che crolla: “tuo padreee ha un’amanteeee” e il sorrisetto freddo di mio fratello maggiore, intravisto, da cui comprendere che era tutto vero. La “e” racconta di quando mio padre mi portò al cinema e, senza dirmi nulla, accanto avevo la figlia di lei: “offri i bon bon”, ma chi è questa? La “i” di quando capii che a casa di mio padre ero un ospite, e così per sempre da allora. La “c” di quando mia madre mi presentò “il mio secondo padre” con racchetta nuova regalata per la corruzione (ne ho già uno!). La “e”…
Senza firma: per ora
“Una separazione grigia”
La separazione dei miei genitori è avvenuta nel 2009, mio padre un bel giorno è uscito di casa per non farvi più ritorno. La loro è stata una “separazione grigia”, 68 anni lui, 69 anni lei. L’anniversario dei 40 anni di matrimonio l’avevamo festeggiato poche settimane prima, con una crociera, regalata da noi figli (39 anni io, 35 mio fratello, usciti da tempo di casa con una nostra vita, lavoro e famiglia). I segnali, forse, erano già arrivati da tempo ma noi non abbiamo avuto il tempo e il coraggio di coglierli e affrontarli : tanti interessi e tante ore fuori casa lui, solitudine e vuoto intorno a lei. Mia madre accecata dall’odio verso colui che l’aveva abbandonata ha deciso di trascinare e colpire anche noi figli nella sua guerra santa. Contro me e mio fratello epiteti e ingiurie che mai da una madre avremmo voluto sentirci dire (traditori, ruffiani, infami, carogne). Alla loro età non hanno messo in discussione né i sentimenti né la vita trascorsa insieme per 40 anni ma solo i soldi e le rispettive proprietà. Una separazione giudiziale che si trascina ancora in Tribunale, tra accuse reciproche e richieste di risarcimento rimaste inascoltate. Non è vero che c’è sofferenza e dolore solo quando i figli sono piccoli; su di noi si è abbattuta una tempesta devastante, uno tsunami di lacrime, tormenti e sofferenze. Come mi sento oggi? Come un’orfana, non lo sono di fatto ma lo sono nel cuore. Ogni giorno mi chiedo quando avrà fine tutto questo? La risposta è banale: quando uno dei miei genitori passerà a miglior vita. E’ triste dirlo ma sarà l’unica soluzione alle loro e alle nostre sofferenze.
F.M. da Roma
“Ricordo le parole di mio padre”
Ero nella stanza accanto e ricordo nitidamente le parole di mio padre: Il nostro matrimonio sta diventando un inferno, potremmo continuare a vivere insieme ma facendo vite separate. Ci fu un minuto di silenzio che mi sembrò lunghissimo e poi mia madre con voce adirata gli rispose senza mezzi termini: Puoi andare via anche subito, prendi le tue cose, ed ognuno per la sua strada, ma ricordati che i nostri figli stanno crescendo ed hanno bisogno di sicurezze: a te la scelta. In quel momento li odiai entrambi, avevo solo otto anni, e continuai ad odiarli, perché non si separarono subito, ma continuarono le loro schermaglie, le litigate, ma tutto dentro le mura di casa per una mentalità ipocrita. Solo dopo molti anni lo fecero, ma io imparai una grande lezione: amarsi per davvero per essere felici. Oggi dopo 25 anni di matrimonio sono felice come il primo giorno.
Gabriella Marfe
“Non ricordo molto”
I miei genitori hanno divorziato che ero bambino, avevo all’incirca quattro anni, non ricordo molto: non ricordo immagini di una vita quotidiana con papà e mamma, non ricordo se siamo mai andati tutti insieme al luna park, non ricordo una gita in macchina per un pic nic, non ricordo molte cose. Ricordo però un paio di scene in cui litigavano e ho un’immagine impressa del giorno in cui mia madre mi ha portato via. Ricordo bene come mi sentivo e per spiegarmi meglio farò una digressione. Vi è mai capitato di avere un blocco della memoria? Il classico “ce l’ho sulla punta della lingua”, sensazione fastidiosa, vero?
Bene ora immaginate di avere questo blocco e di non riuscire a dire che emozione provate verso una persona cara (una moglie,un marito, un figlio, fate voi). È li, sapete che lo potete dire, che potete descrivere il vostro sentimento ma non riuscite a completare l’opera. In più aggiungete la frustrazione e la rabbia per non riuscire a congiungere qualcosa che sentite con una parola per descriverla a voi stessi e agli altri. Per di più nel mio specifico caso sentivo che era mio compito tentare di tenere insieme i pezzi di quella famiglia, ma quanto può essere pesante per un bambino di quattro anni? Impossibile. Aggiungete quest’altra frustrazione al quadro generale. Oggi ho ventitré anni, sono sano, studio all’università e con il mio caratteraccio andrò avanti e farò la mia vita, ma durante il mio percorso costellato di psicanalisi ho visto amici con storie simili alla mia perdersi in droga e quant’altro. Quando un divorzio avviene con figli piccoli si pensa sempre che non soffriranno perché non ricorderanno nulla, ma è proprio perché non ricorderanno che soffriranno.
Non sono contrario al divorzio, anzi, nel mio caso sarebbe stato peggio non separarsi. Noi eravamo una famiglia normale, non si sono mai tirati i piatti o parlati tramite avvocati, ma anche in questa paradossale serenità che ricordo una parte di me è morta diciannove anni fa, e l’unica cosa da fare è lasciarla andare via sapendo che un pezzo di te è andato per sempre. La differenza tra i figli e i genitori in questo ambito è che un genitore sta male un po’, affronta problemi economici e un sacco di cose brutte, ma passano. Mentre i figli porteranno la cicatrice di ciò che è stato per tutta la vita. Perdonate se mi sono dilungato ma è difficile essere sintetici su temi pregni come questi.
Paolo Spatola Mayo
“La separazione è stata l’unico momento sereno”
Il problema non è stato la separazione ma i 17 anni di “unione” precedenti. La separazione è stato l’unico momento sereno dopo 17 anni di medioevo. Separare una coppia che non funziona non può che essere un bene, sempre che le persone che si stanno separando tengano conto dei figli. Una moglie che si separa da un marito può cercare un nuovo compagno per tentare di rifarsi una vita ma l’ex marito resta in “dono” ai figli come padre per tutta la vita. La separazione non è la malattia ma solo l’inevitabile amputazione di qualcosa che è morto. I problemi per un figlio si manifestano prima e\o dopo.
Marco Chiappori
“Una guerra al massacro (psicologico)”
E’ stata un’autentica guerra al massacro (psicologico). Ci sono diversi motivi per definirla in tal modo ed il principale riguarda la presenza di armi che ogni genitore possiede per vincere la propria “battaglia” contro l’ex-coniuge: i figli. Io ed i miei fratelli siamo stati utilizzati come arma impropria, addestrati a portare messaggi di rancore e rabbia da una parte all’altra e viceversa. La stessa arma che poi era risorsa dinnanzi al giudizio dei giudici, chi vinceva si accaparrava la casa, l’assegno di mantenimento ed i figli. In tutto questo avevo 13 anni, ma da allora ho capito una cosa molto importante. Se un giudice dopo anni di processi finalmente riesce ad emettere una sentenza in cui obblighi l’affidamento dei figli a un solo genitore con evidenti problemi psicologici/comportamentali ed in cura con psicofarmaci, beh, io quel giudice lo vorrei denunciare, almeno in sede civile. Ogni professionista che si rispetti deve poter essere giudicato per il proprio operato, persino un elettricista rischia delle penali se non fa bene il suo lavoro. In alternativa se la responsabilità dei giudici deve rimanere intoccabile onde evitare di condizionare l’interpretazione dei sacri testi della legge, semplicemente mettano un software che legga le relazioni degli avvocati delle parti ed emetta sentenza. In sintesi, ho appreso tramite esperienza che dal divorzio gli unici perdenti sono i figli, indipendentemente da chi vince. E non c’è altro da aggiungere.
Anonimo
“Io figlio di una non-famiglia”
Ho 23 anni, figlio di genitori divorziati e nessuna storia particolarmente tragica da raccontare. I miei genitori hanno divorziato 2 anni fa, quindi ho avuto la ‘fortuna’ di vivere la separazione ad oltre 20 anni, riuscendo ad affrontarla in modo ‘ovattato’ e meno frontale rispetto a chi la vive in più tenera età. Sono uno di quelli che si aspettava da tempo l’epilogo giudiziario, perché da sempre mi trascinavo il sospetto di essere figlio di una non-famiglia, ossia di due persone che stavano insieme un po’ per convenienza, un po’ per abitudine, un po’ per noia. Ho introiettato una visione pressoché nulla della famiglia e del suo presunto “valore”, credo che il matrimonio – nel mondo globalizzato di oggi – sia un vestito vecchiotto che molti indossano forzatamente, per status quo più che per ‘fede’. Quando si costruisce male dalle fondamenta, prima o poi tutto è destinato a crollare. Finito ciò cosa resta? Gente sbranata dalla solitudine, inabile a ricostruire relazioni sociali (over 50, paesino di provincia del sud italia), senza il minimo stimolo ad andare avanti. Io, in quanto figlio, mi sono spesso chiesto perché per loro non rappresentassi lo stimolo da puntare per andare avanti, per fare ancora progetti, per guardare al futuro. Poi ho capito.
“Sopporto passivamente le lamentele quotidiane”
Noi figli siamo il prodotto di una moltiplicazione eseguita male, che i fattori non tentano di correggere ma solo di dimenticare. In attesa di un’illuminazione (per loro, mica per me) mi limito a sopportare passivamente le lamentele quotidiane, che ormai sfrutto come esempio negativo di vita: non so esattamente cosa voglio e cosa sono, ma so perfettamente cosa non voglio e cosa non mi ridurrò mai ad essere.
Lorenzo A.
“Una battaglia di insulti”
Ricordo come se fosse ieri quando i miei genitori partirono dalla casa al mare per recarsi a Roma a votare per il referendum sul divorzio: è uno dei pochi momenti che li ricordo felici, quasi eccitati. Poi il divorzio e una battaglia continua di insulti , noi figli spaesati ….ma io in fondo ero contenta e lo desideravo da tempo perché sapevo che dal giorno in cui si sarebbero separati io avrei conquistato la mia libertà da un padre oppressore e così fu.
Lorella
La separazione dei miei
Nel momento in cui mi apprestavo a vivere il più bel periodo della mia vita, la scrittura e discussione della tesi della laurea specialistica i miei hanno deciso di separarsi. Alcune avvisaglie io e mio fratello le avevamo vissute nei 3 anni precedenti. Ma ogni volta vedevo che riuscivano a passare la crisi. Purtroppo però non riuscivano più a stare insieme come prima. C’erano troppe cicatrici per andare avanti. Nonostante le loro liti però sono riusciti a regalarmi un giorno bellissimo. Nonostante tutto quando ho discusso la tesi sono stati vicini, hanno mangiato al mio fianco e abbiamo fatto le foto di rito tutti agghindati a festa. Oggi sono passati già 7 anni da quel giorno. Oggi sono passati 5 anni e mezzo da quando mio papà non c’è più . Da quel 19 Ottobre non siamo stati più insieme nella stessa stanza tutti e 4, se non le ultime ore di vita di mio padre. Adesso che sono “grande”, che ho una casa da mandare avanti, conti da far quadrare e un uomo che non fa mai la lavatrice, li capisco molto di più. Capisco che ci vuole molto coraggio a rompere, a rinunciare a tutte le fatiche passate per la speranza di una serenità futura. Penso che l’unica consolazione è stato avere mio fratello accanto, perché nessun uomo o amica potrà capire, se un’altra persona interna alla famiglia, il tuo disagio. Certe volte rivivo la loro separazione come anticipo a un lutto. Provo molta rabbia per la loro poca pazienza, sarebbe bastato aspettare nemmeno 2 anni e si sarebbero separati comunque, senza bisogno di farci soffrire cosi tanto prima. Altre volte riesco a essere razionale, ad ammettere che forse avevano trovato un equilibrio diverso, e che forse erano sereni anche loro. Ma la felicità penso che no, non l’abbiano più provata.
Jenny Pistoia
“Ho pensato di togliermi la vita”
Mi chiamo Giulia, sono la figlia maggiore e ho vissuto la separazione dei miei genitori in modo traumatico perché i 3 anni di separazione prima del divorzio sono coincisi con i 3 anni di scuole medie e il genitore con cui vivevo in casa è andato in depressione e aveva delle crisi di nervi. In quel periodo sono arrivata a pensare di togliermi la vita, spiavo gli sms dei miei genitori e cercavo di origliare le loro conversazioni con gli avvocati. Loro non si sono mai accorti di niente, non mi hanno mai consultata, salvo venire a piangere sulla mia spalla di dodicenne il loro dolore. Specialmente il genitore che ha chiesto il divorzio, ancora oggi pensa che il divorzio non mi abbia segnata, tanto ero “solo una bambina” e “i bambini dimenticano tutto”. Ora è tutto passato e non voglio portare rancore a nessuno, ma mentirei se dicessi che sono contenta che i miei genitori hanno divorziato. E ovviamente mento davanti a loro, sempre, per non farli sentire in colpa.
“Mi auguro di essere capace di restare con il mio compagno”
Quando la mia mamma, nell’estate del 1993, una sera disse a me e mia sorella che entro la fine dell’anno noi tre ci saremmo trasferite in un’altra casa, perché il babbo aveva bisogno dei suoi spazi e della sua libertà, l’ho odiata come mai successo prima. Era colpa sua, secondo me, perché non era più capace di reggere la tensione, le continue litigate, le depressioni di mio padre, le sue uscite serali e le sue scappatelle; mentre una mamma, credevo, deve essere in grado di sopportare tutto. A dicembre ci siamo effettivamente trasferite, in una casa a 200 metri di distanza da quella in cui vivevamo tutti insieme; una casa più confortevole, più serena, più accogliente. La vecchia casa era per il babbo, per le sue cene e le sue feste; e ogni tanto, di rado, anche per stare con le sue figlie. Io ho cambiato del tutto il mio punto di vista: adesso era il babbo quello da odiare, perché preferiva le feste e le donne a me, alla mia sorella e alla mia mamma. Non volevo mai andare nella vecchia casa, mi facevano orrore le persone che frequentava; il babbo giocherellone di prima, invidiato da tutte le mie amiche, non esisteva più, se ne era andato per sempre. Quando, in una delle sue fasi depressive, dopo qualche mese dalla separazione, venne una sera a cena da noi, dicendoci che gli mancavamo, che voleva proporre alla mamma di tornare con lui e di riprovare a vivere tutti insieme nella stessa casa, io gli risposi che stavo meglio adesso e che la mia nuova casa mi piaceva di più. Gli anni sono passati tra litigi continui con il babbo incapace di ricostruirsi una stabilità, preoccupato di dare a me e mia sorella tutto il necessario e anche di più da un punto di vista economico, ma del tutto assente come figura di riferimento. La mamma invece si è ricostruita una vita con un nuovo compagno e si è risposata di recente. Ho continuato a odiare anche lei, negli anni delicati dell’adolescenza, perché anche lei era proiettata sulla sua ricostruzione, anziché sul mio malessere. Io ho vissuto per tanti anni con l’idea di essere stata abbandonata da loro. Non è vero quello che i genitori che si stanno separando ripetono spesso, che in fondo non cambia niente, che il babbo e la mamma sono sempre gli stessi e continuano a volere bene ai figli. La mia vita dalla loro separazione è cambiata eccome; io volevo un babbo e una mamma uniti, due genitori che mi dessero delle regole e che mi mettessero in punizione se non rispettavo il coprifuoco, che guardassero con me la televisione la sera, che mi portassero al mare d’estate. E invece non avevo regole, ho avuto fin troppa libertà che mi ha completamente disorientato nella vita. Adesso, che sono mamma di un bimbo di due anni e mezzo e sono in attesa del fratellino, penso che il fallimento più grande della mia vita sarebbe la separazione dal mio compagno, perché non vorrei mai far provare ai miei figli quello che ho vissuto io. Non sono contraria assolutamente al divorzio, è un diritto riconosciuto e conquistato; penso solo che oggi si fanno figli con troppa leggerezza e con altrettanta leggerezza ci si separa, ci riaccompagna, si fanno altri figli con altre persone. Io continuo a guardare la me stessa bambina con grande commozione e rimpianto per non aver avuto due genitori capaci di lottare per rimanere insieme; mi auguro di essere capace io di farlo, per i miei figli, per il mio compagno, per la mia famiglia.
AF
“Una benedizione”
È ormai datato ed entrambi sono morti da anni. Fu uno dei primi divorzi, risale infatti ai primi anni 70. Per me è stato una benedizione, nonostante sia finita in un collegio che non era certo quello delle Orsoline. Fra liti continue e stoviglie che volavano, arrivare in quell’oasi di pace, per me volle dire tornare ad una vita da Bambina, anche se poi rimasi in istituto per ben 7 anni e questo ha segnato la mia vita, nel bene e e nel male, per sempre.
Marinella Zepigi
“La cosa più importante non è stare insieme”
Si tratta di una frattura e come tale, per quanto guaribile, riaffiora sempre. Dico solo che la cosa più importante non è stare insieme, marito e moglie, ma sforzarsi da separati ad avere una unità genitoriale. Le piccole scelte fatte per i propri figli. Un esempio: condividere la conoscenza del carattere del figlio/a, i suoi gusti, le sue difficoltà. A volte si assiste ad una competizione feroce che rasenta il grottesco. Chi dei due genitori, conosce meglio il proprio figlio? Ha senso? Basterebbe che si parlassero e si confrontassero per arrivare ad una analisi. È anche vero che lo stress causato dai tempi lunghissimi per definire legalmente la separazione/divorzio, i costi, la definizione di chi deve cosa e quanto e via discorrendo… non giovano al rapporto di due coniugi già in crisi, anzi fomentano ulteriormente polemiche e odi tra i due. In questi casi da una frattura semplice si va incontro ad un cancro indifferenziato. Si cresce lo stesso ma con più fatica e alla fine e parlo da ottimista, ho sempre pensato che le sfortune sono altre. Cordiali saluti
Roberta Ferrullo
I miei ricordi
Avevo circa 4 anni. Ricordo le enormi stanze del vecchio tribunale di Napoli. Mia madre mi portava con se’, non aveva nessuno a cui lasciarmi. Ricordo mio padre, quasi trionfante di essersi liberato di un’appendice scomoda, ci portava in una trattoria di fronte a mangiare pollo e patatine, faceva il brillante, lo è sempre stato. Lui stava bene. Noi no. Ho sempre vissuto il disagio della separazione, separazione nel senso vero della parola, qualcosa che si distacca da te e non ti appartiene più, ma lui non è appartenuto mai a me e a noi. C’era un io ed un noi che non entrava in relazione mai. Dopo la separazione per lunghi mesi non veniva a farci visita, e quando finalmente si decideva, sedeva tutto compunto in cucina, come se dovesse sbrigare una pratica, andava sempre abbastanza di fretta. Ricordo i giorni dell’Epifania, giorni in cui tutti i bimbi ricevono doni. Quell’anno a Natale non si era fatto vivo, mia madre, l’ho saputo anni dopo, mi comprò un giocattolino a forma di farfalla, era tutto quello che era riuscito a fare. Quanto ho pianto quel giorno e quanto dolore ho provato nel vedere le mie amiche prendermi in giro per quel regalo assurdo, in un giorno di sogni fantastici per i bimbi. Ricordo che non avevamo soldi. Non solo era andato via, ma ci aveva lasciati nell’indigenza più totale. Non l’ho mai perdonato, mio padre viveva negli agi, a quel tempo aveva una mercedes beige, la barca di 16 metri, la casa nuova grande ed una nuova donna. Un giorno mio fratello lo cercò, avevamo bisogno di soldi, al circolo esclusivo di Napoli di cui faceva parte. Lui si raccomandò di farsi chiamare zio, nessuno dei suoi amici sapeva di aver avuto un’altra vita e tre figli di cui non si è occupato mai.
Ricordo il giorno del mio matrimonio, il giorno più atteso nella vita di ogni ragazza. Mio padre mi presentò per la prima volta un’altra mia sorella, che aveva avuto da un’altra donna. Aveva fatto fatica a venirci, l’avevamo dovuto convincere ad accompagnarmi in chiesa. Non conosco nessun padre che si sia permesso tanto. Come posso dimenticare. Ancora oggi questi momenti sono impressi a fuoco nella mia memoria. Ricordo il giorno in cui se ne è andato via, per sempre. Nonostante tutto in quei momenti lo abbiamo accompagnato al trapasso, anche allora ha scelto chi voleva al suo fianco. Mia sorella si teneva in disparte, camminava senza far rumore, non gradiva la sua presenza. Era grassa. Questa è solo una piccola manciata di ricordi per testimoniare che non si è solo vittime di una separazione, come avviene nella maggior parte dei matrimoni, ma vittime di una miseria dell’individuo, della pochezza di un uomo che ancora oggi non ho ancora perdonato.
Gemma Annicelli
Ero un bambino fortunato
All’epoca avevo poco più di 1 anno, almeno così mi è stato riferito, a la ferita, a distanza di più di 40 anni deve ancora rimarginarsi. Non discuto i motivi che hanno portato mia madre a decidere di andarsene con un altro uomo, peraltro decisione rivelatasi nel tempo disastrosa, ma posso decidere di obiettare sul modo in cui è stato gestito il post separazione e tutte le non verità che mi sono state raccontate e che fanno sì che, oggi, un sentimento di rabbia accompagni ogni istante della mia vita. Mi è stato detto e ripetuto allo sfinimento che “ero un bambino fortunato” perché i miei genitori avevano mantenuto un rapporto civile, si parlavano, decidevano insieme del mio futuro, non mi facevano mancare nulla, o almeno così pensavano. La vita di un bambino figlio di separati è una vita monca, vivi perennemente in maniera incompleta, ovunque tu sia e qualunque cosa tu stia facendo ti accompagna la sensazione che manchi qualcosa. Nella mia infanzia e poi nell’adolescenza non mi è stato permesso di soffrire “ero un bambino fortunato”, non mi è stato permesso di esternare il mio disagio rispetto alla situazione familiare “ero un bambino fortunato”, non mi è stato permesso di odiare la persona che aveva stravolto la mia esistenza, ma anzi, pur avendo un padre vivo e presente questa persona, fino all’età della ragione, mi è stato imposto di chiamarla papà “ero un bambino fortunato” , mi sono stati donati sensi di colpa che ancora oggi mi tormentano “ero un bambino fortunato”, mia moglie e mio figlio vivono, incolpevoli, i miei disagi che ancora oggi mi accompagnano “ero un bambino fortunato”. Da figlio di separati vivi una vita che a volte ti sembra non appartenerti, non hai una stanza che sia veramente la tua, non hai una casa che sia veramente la tua, a volte non hai una città che sia veramente la tua, arrivi a pensare di avere un’esistenza che non senti tua. E’ una situazione che logora pian piano, alla quale è difficile porre rimedio. Una cosa sola posso chiedere ai genitori attraverso queste righe, non raccontate mai ai vostri figli che la loro situazione è speciale, che hanno due case, due Natali, due compleanni, non se ne fanno nulla…e soprattutto non dite mai loro che “sono bambini fortunati”. Grazie.
Graziano Francini
“Brucia ancora il senso di abbandono”
Ho 53 anni e i miei si sono separati nel ’73, quando ne avevo 12. Brucia ora come allora il senso di abbandono. Abbandonata da mio padre che se n’è andato senza neanche un saluto, una spiegazione e abbandonata da mia madre che da quel momento in poi si è chiusa in se stessa, pensando solo al suo dolore. Vivo da allora con il senso di colpa di non aver fatto potuto o saputo far nulla per mio fratello che di anni ne aveva 9 e che è finito per diventare un eroinomane e sento dentro una gran rabbia verso i miei genitori (mio padre nel frattempo è morto) che hanno pensato solo a se stessi.
Valeria P.
Il divorzio raccontato
Anziché narrare in forma di cronaca il “mio” divorzio annunciato, scriverò dei turbamenti e delle angosce che ti travolgono quando la tua famiglia, e cioè la tua vita, si rompe per sempre. Il giorno in cui i miei genitori mi comunicarono che volevano separarsi non lo ricordo più, ma rammento invece tutti gli insopportabili bisticci che lo precedettero. Se, come nel mio caso, sei figlio unico e di soli nove anni, non puoi condividere il profondo disagio e allora cosa fai? Taci la tua pena per non tormentare mamma e papà; non supplichi di ripensarci perché solo mamma e papà conoscono la via del tuo bene; assisti sbalordito, in silenzio, e sei fortunato quando non ti coinvolgono nelle loro beghe e ripicche reciproche; hai paura che un tuo gesto, una tua parola possano essere interpretati come un segnale di preferenza per l’uno e rifiuto per l’altro; vorresti vederli felici come l’anno prima, ma mamma e papà ora sono diversi. E questo non lo riesci a dire.
SL
“La stoffa della memoria”
La stoffa della memoria non è una seta distesa e leggera; piuttosto, uno spazio-tempo ricurvo, relativistico; attratto dalla gravità degli eventi; irregolare, gibboso, lacero. Chiudendo gli occhi e passando un dito immaginario su questa trama insidiosa, che m’appartiene e allo stesso tempo m’inganna, avverto delle cuciture: stralci di giorni sono stati estirpati e, al loro posto, lembi di tempo non contigui si trovano ora uniti da rammendi approssimativi. Per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare i giorni che seguirono il momento in cui mia madre, nell’ampiezza d’un letto da tempo troppo vuoto, ci chiese, a me e al mio fratellino, cosa ne pensassimo di andare a vivere con il suo nuovo amico. Ricordo solo la mia risposta e poi – e poi una casa nuova, pareti ridipinte, tanta fretta. Non ricordo come fu, da principio, vivere con persone sconosciute; tutto ciò che so è che è successo, e sono sopravvissuto. Se provo con la mente a investigare gli anni precedenti quel trasloco, tutto appare favoloso, quasi irreale; quella zona di memoria è un arlecchino di episodi intensi e isolati: papà che ci porta dei regali dal lavoro; le mattine di Natale; i litigi, i continui litigi e le mie esasperanti domande: “Mamma, dimmi Mamma, cosa ci vuole ad andare d’accordo, a volersi bene?”. Un’altra vita. Gli anni che seguirono quello strappo furono diversi. Imparai ad amare come fratelli persone che fratelli non sono. Imparai che quando si soffre, si soffre soli; che persino l’amata Mamma può vederti soffrire senza volerti consolare; che lei, proprio lei, può farti soffrire – e se lo può, lo farà! – più di chiunque altro. Ma imparai anche un’altra cosa, che è l’unica che voglio ancora dire.
Amavo il mio papà come amavo la mia mamma. Qualcuno però, non saprei dire chi, decise che era con lei che dovessi stare. La mia nuova vita era così veloce, sempre sul punto di deflagrare, priva di radici e fondamenta, che mi scivolava addosso senza ch’io riuscissi a prender piena coscienza degli eventi e delle cose; per questo motivo, questa cosa che imparai, la imparai allora, ma mi accorsi di averla imparata solo molti anni più tardi. Capitava, nella nuova casa, che gli equilibri, così instabili, necessitassero d’una costante opera di controllo, assestamento e normalizzazione. Capii così che per papà non c’era posto in quella casa. E nemmeno più in me. Volevo, o no, bene alla mamma? Lo tradii. Rifiutai il mio nome. Odiai le mie origini. Soffrii ogni volta che dovetti uscire per quel pranzo settimanale raccomandato dal giudice: soffrivo prima d’uscire, sapendo del male che stavo per compiere; soffrivo durante il pranzo, sapendo che ogni minuto speso in quel mondo era un minuto di sofferenza inflitto a quell’altro; soffrivo tornando a casa e trovando ad accogliermi un silenzio carico di un risentimento che sentivo di non meritare, ma non sapevo come rifuggire. Soffrii tentando di accorciare il più possibile le telefonate nascoste nello sgabuzzino; soffrii ogni volta che un discorso mi coglieva di sorpresa, obbligandomi a parlarne, costringendomi a pronunciarlo: “Mio padre”. Soffrii intensamente, per anni. Poi, smisi. Riacquistai il mio nome. Andai alla ricerca delle mie origini. Ritrovai, e amai più che mai, papà.
E fui felice, molto felice: non tutti possono vantare le mie fortune.
Anonimo