Ennesimo colpo di scena nell’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Sui vestiti del poeta, nato a Bologna il 5 marzo del ’22 e ucciso all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del ’75, sono state ritrovate macchie di sangue con tracce di Dna appartenenti ad altre persone e non a Pino Pelosi, che come unico esecutore dell’uccisione di Pasolini ha già scontato 9 anni e 7 mesi di prigione. Pelosi è stato ascoltato dal pm Minisci della Procura di Roma ribadendo la sua estraneità ai fatti e la presenza di alcune persone quella sera vicino alla macchina di Pasolini che ferirono lui e poi uccisero a bastonate il poeta.
Video di Loredana Di Cesare
Tornano quindi alla ribalta i nomi dei fratelli Franco e Giuseppe Borsellino (morti di Aids, ndr), frequentatori della sezione Msi della Tiburtina, in modo ad inseguire Pasolini e Pelosi sull’auto, anche se sull’identità dei tre che lo presero per il collo, gli ruppero il naso e poi si gettarono con ferocia sul corpo di Pasolini, Pelosi non conferma che fossero loro: “Lo investirono con una seconda macchina uguale alla sua”, ha spiegato l’oramai 56enne Pelosi ricostruendo di fronte ai cronisti le fasi di quella lontana notte. “Mi feci la mia condanna perché avevo paura, in carcere venni minacciato più volte di morte”.
L’ultima puntata del delitto Pasolini riaccende i riflettori su un caso risolto in sede giudiziaria con la condanna definitiva in Cassazione nel 1979 per Pelosi, ma a livello mediatico e politico continuamente riaperta, spesso da amici e conoscenti vicini all’autore di Petrolio. Pelosi venne arrestato lo stesso 2 novembre 1975 e il 5 febbraio del ’76 affrontò il processo da reo confesso. Il 26 aprile del ’76, dopo quindici udienze il ragazzo romano, detto “la rana”, venne condannato in primo grado a 9 anni e 7 mesi, sentenza confermata in meno di un anno sia in Appello sia in Cassazione. Il 26 novembre 1982 Pelosi ottenne la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata.
Già nell’arringa al processo del ’76 l’avvocato di Pasolini, Guido Calvi, avanzò dubbi sull’unico esecutore, e la possibile presenza di altri aggressori. Tesi ripresa nuovamente nel 2005 dallo stesso Pelosi ospite in un programma di RaiTre e ancora da improvvisato ospite alla presentazione del libro “Nessuna pietà per Pasolini” in una libreria di Roma nel dicembre 2011 incalzato da Walter Veltroni che di Pasolini fu amico: “Ci seguivano fin dalla stazione. Un paio di loro hanno tirato Pier Paolo fuori dall’abitacolo e hanno cominciato a picchiarlo, era a terra già mezzo morto quando gli sono passati addosso con l’auto – spiegò con le stesse parole e gli stessi ricordi di oggi Pelosi a Veltroni.- Uno di loro è venuto da me, me le avevano già date, e mi ha detto: ‘Inventati qualcosa, se dici qualcosa famo fuori te e tutta la famiglia tua’”. E pure in galera me lo ricordavano, erano detenuti questi, quando mentivo mi dicevano ‘bene così’. Non mi hanno mai mollato”.
La versione Pelosi numero due viene aspramente criticata dall’amico e confidente di Pasolini, Nico Naldini, ma già a maggio 2010 il regista Mario Martone, coadiuvato dall’avvocato Calvi, aveva registrato in una testimonianza video le parole dell’amico del poeta, Sergio Citti, andato a fare riprese e raccogliere testimonianze all’idroscalo nei giorni successivi al 2 novembre ’75, e che avrebbe ricordato a sua volte le parole di alcuni pescatori che nella notte avevano visto due auto e diversi uomini picchiare Pasolini.
Infine solo un mese fa è stato il regista e giornalista David Grieco, arrivato tra l’altro all’Idroscalo quel 2 novembre tra i primi assieme al medico legale Faustino Durante, a voler riaprire il caso. Grieco, a cui Abel Ferrara aveva chiesto inizialmente di scrivere una sceneggiatura per quello che poi sarebbe diventato il film in concorso all’ultimo festival di Venezia, “Pasolini”, sta girando “La Macchinazione”, film sugli ultimi tre mesi di vita di Pasolini – interpretato da Massimo Ranieri: “E’ stato ammazzato per la sua ‘scomodità’ – ha spiegato Grieco – Voglio che il caso sia riaperto una volta per tutte. Abbiamo il diritto di sapere che i suoi assassini siano individuati anche se non più perseguibili dopo 40 anni. Se non elaboriamo la nostra storia finiamo male”.