Qualche giorno fa il governo ha annunciato che, a decorrere dal prossimo anno, il pagamento del canone di abbonamento sarà addebitato sulla bolletta dell’energia elettrica. Dopo poche ore si è avuta la smentita, giustificata da imprecisati problemi tecnici irrisolvibili in poco tempo, e ha rinviato la riforma del canone al prossimo anno.
La vicenda offre lo spunto però per alcune considerazioni.
In tutti i paesi europei si cerca di limitare l’evasione del canone, considerato un’imposta fra le più odiose. Il metodo della bolletta elettrica è stato applicato in Grecia, Portogallo, Romania e Slovacchia. Di recente, in Francia il canone è stato agganciato all’imposta sull’abitazione, mentre in Germania è stato ancorato al requisito della residenza.
La modifica della riscossione del canone è urgente in Italia poiché abbiamo un’evasione fra le più elevate, equivalente a circa il 30% delle famiglie. Evasione che è alimentata anche da continue campagne denigratorie contro la Rai, qualche volta immotivate, ma spesso suffragate da un servizio offerto non proprio di qualità. Il recupero di una parte dell’evasione potrebbe avvenire, prima ancora che con metodi coercitivi, con il ritorno della Rai a essere un vero servizio pubblico, con un’offerta di programmi di qualità e salvaguardando il pluralismo dell’informazione.
Nelle dichiarazioni del governo si è ipotizzato che, grazie al recupero di circa 600 milioni di euro di evasione, il canone unitario sarebbe sceso della metà, a 60-70 euro rispetto all’attuale valore di 113,5 euro. Un’operazione che potrebbe avere un impatto positivo sull’opinione pubblica, ma lascerebbe irrisolti i problemi del sistema Tv (semmai sarebbe più utile prevedere forme di esonero per i meno abbienti).
Togliendo 600 milioni di euro da un mercato già povero di risorse, ai margini del mercato globale della comunicazione, si renderebbe il mercato ancor più debole. L’occasione della revisione del canone potrebbe essere invece l’occasione per rivedere l’intero assetto del sistema.
Ciò che la Rai acquisirebbe in più con il canone dovrebbe essere tolto dai ricavi da pubblicità. Per due motivi:
Per far rifluire risorse aggiuntive sul mercato dei mezzi di comunicazione, che versa in una profonda crisi, causata proprio dal crollo del mercato pubblicitario (evitando, con appropriati vincoli antitrust, che la pubblicità persa da Rai non rifluisca sul concorrente diretto, già detentore del 35% del mercato pubblicitario e del 58% del mercato Tv).
L’operazione permetterebbe di dare a Rai certezze di risorse senza la necessità di “svendere” la propria natura di servizio pubblico alle esigenze pubblicitarie, causa della sua omologazione alle Tv commerciali. Non a caso la Rai ha la quota più elevata dei ricavi pubblicitari rispetto agli altri servizi pubblici europei.
La riduzione della pubblicità per Rai (con due sole reti generaliste, come tutti i privati) potrebbe ottenersi riprendendo il vecchio progetto di una rete senza la pubblicità, oppure riducendo gli indici di affollamento pubblicitario.
La buona idea di ridurre l’evasione dovrebbe quindi accompagnarsi a un progetto che “sistemi” l’assetto del sistema televisivo. Andando avanti per aggiustamenti di settore, oltre al canone è previsto un intervento del governo sulla governance Rai, si perde la possibilità di una vera e necessaria riforma del sistema televisivo.