La domanda mi viene rivolta quasi ogni giorno: «Sta cambiando qualcosa nella “Terra dei fuochi”?». Non mi è facile rispondere senza avvertire lo scrupolo di dover scoraggiare qualcuno. Purtroppo la realtà è quella che è. I mille militari che sarebbero dovuti arrivare in Campania – e che si ridussero poi a non più di cento – tra qualche mese andranno via. L’anno di permanenza è ormai passato. Sono stati con noi, hanno lavorato, hanno fatto quel che potevano. Molto poco per la verità, ma altro, pur volendo, non avrebbero potuto fare. Il loro invio, nei confronti del dramma che avrebbero dovuto affrontare, è stata un piccolo palliativo.
Nei prossimi giorni sarebbero dovuti iniziare alla “Resit” di Giugliano, gli interventi di messa in sicurezza. Ricordiamo che in questo sito, tra gli anni ottanta e novanta, furono interrati almeno un milione di metri cubi di rifiuti industriali altamente tossici e nocivi. Proprio riferendosi alla Resit, la Commissione bicamerale presieduta da Gaetano Pecorella, tenendo conto degli studi del geologo toscano, Giovanni Balestri, affermò che il peggio sarebbe arrivato tra una cinquantina di anni, quando, cioè, il percolato raggiungerà la falda acquifera. Ebbene, è notizia di questi giorni, che il laboratorio privato per fare analizzare i campioni di carotaggio, al quale si sono rivolte le due ditte appaltatrice per la messa in sicurezza della “Resit”, non ha utilizzato gli strumenti conformi agli standard richiesti, per cui tutto dovrà essere ripetuto. Sperpero di denaro e soprattutto di tempo. Sperpero sciocco, illogico, immotivato. Certo, perché la Resit è una bomba a orologeria, dove è in atto una corsa contro il tempo.
Questo ulteriore incidente dice non solo la gravità del problema che stiamo affrontando, ma dà anche la cifra della superficialità con cui lo si sta da sempre affrontando. Tra l’altro in Senato è ferma una proposta di legge sull’inasprimento delle pene per i reati ambientali. Logica vorrebbe che fosse votata immediatamente e all’unanimità. Invece si è bloccata. Ci chiediamo: chi, in Italia, ha interesse che i crimini ambientali non vengano puniti adeguatamente? Chi è che non vuole questa legge? Per non parlare della prescrizione che rimette in libertà anche un assassino. Situazioni laceranti. Sofferenza grande. Sfiducia. Rabbia. Tanta, tanta rabbia. Sembra una serpe che si morde la coda. Una serpe che ci avvinghia e ci tiene prigionieri, ma che non sappiamo, o non vogliamo, uccidere una volta e per sempre.
I magistrati hanno le armi spuntate. Ce lo ricordano spesso. Loro non fanno le leggi, le applicano. Occorrono le leggi, allora? Bene, si facciano. Siamo uno Stato sovrano. Ma non succede. E ci ritroviamo a dover digerire delle sentenze che sono una vera pugnalata al cuore davanti alle quali anche chi detiene il potere non può che fare qualche pallida promessa. Intanto ci si ammala. Si soffre. Si muore. Si continua a morire. I viottoli delle nostre campagne sono invase da cumuli di onduline, serbatoi, grondaie di cemento all’amianto. Le nostre vecchie case sono zeppe di questo materiale. Smaltirlo adeguatamente costa un occhio della testa. La gente da sola non ce la fa. Non potrà mai farcela. Occorre un intervento da parte dello Stato. Un intervento forte, serio. Una vera e propria campagna anti-amianto con incentivi e aiuti alle famiglie.
Bisogna fare presto, non possiamo lasciare alle future generazioni questa zavorra che provoca sofferenza e morte. Invece, niente. Si parla sempre e solamente di rifiuti urbani, con la segreta speranza di costruire altri inceneritori, evitando di affrontare il problema degli scarti industriali, dell’amianto, dei rifiuti ospedalieri. L’ evasione fiscale non è solo un problema di ordine economico. Imprenditori e industriali che evadono le tasse non imbrogliano solo lo Stato, uccidono la gente. Finché non si affronta questo dilemma prendendolo di petto, si continua a girare a vuoto.
E poi la sanità. Per i tantissimi ammalati di cancro e di leucemia, sovente, non c’è nemmeno il ricovero in ospedale. Le liste di prenotazione sono lunghissime. Chi può corre verso la sanità privata. Magari vola al nord o all’estero. I poveri, invece, pazientemente, si rassegnano e si mettono in coda. E aspettano. Aspettano. Aspettano di essere chiamati. Succede spesso, invece, che a chiamarli, prima dell’ospedale, si presenti sorella morte.