Per carità, siamo in democrazia, siamo in un paese civile, e le opinioni vanno rispettate, si intende, ci mancherebbe, siamo uomini di mondo, va da sé…
Ma mentre tutti si preoccupano per le opinioni, ai fatti, ai poveri, nudi fatti, chi ci pensa? È lecito tutelare un’opinione, quando questa stupra i fatti?
In fondo, anche il maniaco sessuale “opina” che portare a termine il suo progetto sia un suo diritto, e anche il maniaco sessuale vive in democrazia, come del resto le sue potenziali vittime. A chi ritenesse il paragone eccessivo, e mi facesse notare che la violenza sessuale è un crimine punito dall’articolo 609 bis del Codice Penale, farei notare che secondo il Testo Unico della Finanza (TUF) anche la violenza contro i fatti economici è un crimine, punito dall’art. 185 TUF, il quale recita: “Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni”. Ne abbiamo sentite, ultimamente, di notizie false! Ad esempio, il preteso default dello Stato italiano a novembre 2011 era vero quanto le “armi di distruzione di massa” irachene che tanto preoccupavano Blair (il nuovo compagno di merende del nostro premier). Per chi si fosse distratto, ricordo che le armi di distruzione di massa in Iraq non c’erano, e non c’era nemmeno il default in Italia, anche se l’austerità fatta col pretesto di evitarlo ha aggravato la nostra situazione distruggendo i nostri redditi, e questo ormai lo ammettono tutti.
I magistrati hanno cose più serie da fare, ma siccome alterazione del mercato ci fu, chissà, magari fare un giretto sui giornali di tre anni fa potrebbe aprire loro interessanti prospettive.
Non va meglio in televisione, dove trasmissioni trash ci propongono una variopinta corte dei miracoli eurista che scambia la libertà di opinione per libertà di menzogna. Ieri, 30 novembre 2014, data da segnare albo lapillo negli annali della lotta di liberazione del nostro paese, se n’è avuta una plastica illustrazione nel dibattito fra Claudio Borghi Aquilini e Gianluca Brambilla alla Gabbia.
Notate un dato significativo: ormai che l’euro sia un problema lo ammettono tutti. Zingales, il più scaltro fra gli economisti dell’establishment, lo va dicendo dal 2010! Queste ammissioni hanno un ovvio motivo: il redde rationem si avvicina e chi vuole rimanere in sella deve smettere di mentire. Ne consegue che a mentire vengono mandati personaggi di secondo o terzo rango, personaggi “expendable”, sacrificabili, come si direbbe in gergo militare, accomunati da due tratti caratteristici:
– mentono sui fatti più elementari, e:
– sono in un palese conflitto di interessi.
Cominciamo dalla menzogna.
È significativo il passaggio in cui il Brambilla dice: “La svalutazione che ho vissuto sulla mia pelle, era il 13 settembre del 1992, il marco tedesco passò dalla sera alla mattina da 880, ehm, 1880 lire a praticamente 1500 lire il giorno dopo”. Una perla di proporzioni inaudite, meglio: un autentico diamante, del quale vi guiderò, per vostra edificazione, ad apprezzare le molteplici sfaccettature.
Cominciamo dai dati. In figura vedete i dati settimanali del cambio lira/marco, espresso in lire per marco, cioè come costo del marco in lire italiane (i dati sono tratti da questo sito). Ho cerchiato in rosso l’episodio del 1992 che infiniti lutti addusse al Brambilla.
Notate che l’imprenditore comincia quasi bene, nel senso che dice una cosa solo lievemente imprecisa, situando a 880 lire il valore del marco prima della svalutazione del 1992. In effetti prima della svalutazione il marco era a 764 lire. Fra 880 e 764 la differenza è “solo” del 15%: un po’ troppo, mi direte, per uno che pretende di essere del settore e di ricordare bene l’episodio. Ma nulla in confronto alla castroneria immediatamente seguente: il Brambilla infatti si corregge, e parla di 1880 lire per marco, con successiva “svalutazione” a 1500. E qui abbiamo altre due sfaccettature:
– il marco non è mai arrivato a 1880 lire, come tutti ricordiamo e come la figura mostra. La massima svalutazione ci portò poco sopra 1200 lire per marco (nel 1995). Non voglio dire che Brambilla menta o sia ignorante. Sicuramente, se dice di aver acquistato un marco a 1880 lire, sarà vero e io gli credo. Ciò implica che qualcuno sia riuscito a venderglielo a quel prezzo. Al venditore propongo di erigere un monumento: è evidentemente un genio (del male), come il partenopeo che è riuscito a collocare in Germania una banconota da 300 euro. Preciso, per il signor Brambilla, che la banconota da 300 era falsa (non si sa mai).
– Se veramente il marco fosse passato da 1880 a 1500 lire, significa che sarebbe costato di meno (tutti capiamo, vero, che una cosa che costava 1500 lire costava meno di una che ne costava 1880, no?). Quindi nel caso prospettato dal Brambilla sarebbe stato il marco a costare di meno, cioè a svalutarsi, di circa il 25%, non la lira! E in una notte!
La domanda sorge spontanea: come può fare impresa uno che pensa di rimetterci acquistando una cosa quando costa di meno? Beati i suoi fornitori! Scusate, vi lascio: vado a fare l’imprenditore…
Le cose andarono in tutt’altro modo. Fra il 13 settembre 1992 la lira cedette del 7% (non del 25%), cioè il prezzo del marco aumentò da 764 a 818 lire. Una prima cuspide di svalutazione venne raggiunta, come il grafico mostra, molto dopo, nella settimana del 30 marzo 1993: il marco arrivò a costare 990 lire, cioè il 30% di più rispetto al valore pre-svalutazione. Ma c’erano voluti più di 200 giorni per arrivare a questo, non una singola notte, come sostenuto dal Brambilla. Fra l’altro, il mercato corresse immediatamente questa sottovalutazione della lira, che si riprese, per poi cedere nuovamente e attestarsi intorno alle 1000 lire per marco (vicino al valore di ingresso nell’euro).
Ricapitolando:
– violenza ai fatti (il valore del marco era un altro);
– violenza alla logica (svalutazione della lira significa che il marco costa di più, non di meno);
– violenza al dato storico (per quello che il Brambilla enuncia ci vollero 200 giorni, non uno).
La domanda è: perché tanta violenza?
La carità cristiana ci esorta ad essere misericordiosi con il carnefice come con le vittime, a intuirne e compatirne le ragioni. E Claudio Borghi le ragioni del Brambilla le intuisce, e gliele spiattella in faccia, suscitando una meritatissima standing ovation: il Brambilla è un importatore. Non un imprenditore che crea valore in Italia, dando lavoro a italiani, ma un commerciante che fa campare imprenditori esteri, acquistando i loro beni per venderli a noi, dando lavoro a cittadini esteri.
Intendiamoci: non siamo per l’autarchia. Lo scambio (incluso quello del Dna) è una naturale e salutare pulsione della natura umana, che ci evita il compito di provvedere da noi a tutti i nostri bisogni: già Robinson Crusoe ebbe le sue difficoltà, come ricorderete, in un tempo di bisogni relativamente rudimentali. Pensate oggi! Come faremmo a costruirci da soli uno smartphone? E poi, se il global warming rende possibile vinificare in Inghilterra, in Groenlandia ancora non si può, e proprio perché nel Mediterraneo stanno arrivando i barracuda, è difficile che ci si possa pescare il merluzzo bianco: quindi, se agli italiani piace il baccalà, e ai groenlandesi il vino, commerciare aumenterà il benessere: è nella logica dei fatti, prima che in ogni libro di testo.
Non c’è quindi nulla di male nell’essere importatore, anzi!, come del resto non c’è nulla di male nell’esportare, e in generale nel difendere i propri interessi. Il problema, come spiego nel mio ultimo libro, è un altro, è il capitalismo straccione e bancarottiere del “testa vinco io, croce perdi tu”: questo è il vero cancro del nostro paese e del nostro continente.
È lecito che un importatore preferisca un mercato falsato da una moneta troppo forte. Nel breve periodo ne trae vantaggi: acquistare all’estero gli costa meno, e i suoi margini di profitto aumentano. Nel frattempo, però, le imprese che esportano chiudono, e alla fine chiude anche l’importatore, perché dopo aver beneficiato di una moneta forte che gli ha assicurato margini alti (mentre comprimeva quelli degli esportatori), alla fine si accorge che il paese è morto, e che le cose che lui compra all’estero grazie alla moneta forte, all’interno nessuno ha più i soldi per comprarle.
Ho incontrato spesso simili imprenditori. La trama è sempre questa: arriva uno che si preoccupa dell’uscita dall’euro, della svalutazione. Tu gli chiedi: “Scusi, lei che fa”, lui ti risponde: “Io importo”. Allora gli dici: “Certo nel 1992 deve essere stata dura, all’inizio, ma nel 1991 le cose come andavano?”, e lui: “Malissimo, il paese era fermo, acquistavo bene ma non vendevo”, e tu: “Ah, ecco, e invece nel 1993?”, e lui: “Be’, l’economia è ripartita, finalmente riuscivo a vendere le cose che importavo, e anche se mi costavano di più, il mio fatturato era in crescita”.
Ogni volta la stessa storia, perché è Storia, perché le cose sono andate così, e non come dice il Brambilla (più che dimostrarvelo dati alla mano non posso fare).
Agli imprenditori italiani dobbiamo chiedere lo sforzo di pensare in un’ottica di sistema, e di non vivere un giorno alla volta. Lo so: è difficile, in questo periodo di enormi tensioni economiche, nel quale loro, più di altri, sono in trincea. Ma a queste tensioni ci siamo arrivati anche per l’egoismo e la miopia dei singoli. L’importatore che teme perdite future, oggi sta facendo profitti perché il mercato dei cambi è falsato a suo vantaggio. Non può andare sempre bene, e il mercato si vendica di chi lo falsa. Capirlo rapidamente e trarne le debite conclusioni è interesse di tutti. Chi pensa solo a se stesso in un simile momento di crisi per il nostro paese è amico dei propri interessi e nemico del nostro paese, cioè, alla fine, nemico anche dei suoi stessi interessi (che lo capisca o meno).
Ah, scusatemi, una lieve imprecisione l’ho detta anch’io. Non è vero che il Brambilla sia solo un importatore. Lui esporta anche, o meglio, vorrebbe esportare una merce molto particolare. Quale? I nostri anziani, per i quali, in caso di problemi che richiedano lunghe degenze, propone la deportazione in Nord Africa, dove tutto costa meno. Nulla di nuovo: com’è noto, questo è il modello tedesco. Ho sincera compassione di Brambilla: gli auguro dal profondo del mio cuore di non dover sperimentare lo strazio del sovvenire ai bisogni di un parente anziano e malato, in un paese nel quale la crisi causata dagli egoismi individuali sta distruggendo lo stato sociale. Ma io non conto nulla: decide nostro Signore. L’unica cosa che posso fare per il Brambilla, quindi, è ricordarlo nelle mie preghiere, e certo non mancherò di farlo, come credo molti di voi. “Verrà un giorno…”.