La quattro giorni di compere che dà il polso dello stato di salute dell'economia americana ha fornito un responso negativo: vendite per soli 50,9 miliardi di dollari contro i 57,4 del 2013. Secondo gli analisti il calo della disoccupazione maschera un aumento degli "scoraggiati" e di chi, pur avendo un lavoro, è povero
Parte male negli Stati Uniti la stagione degli acquisti di Natale. Il “Black Friday”, la quattro giorni di compere folli che segue il Thanksgiving, e che simbolicamente dà il via alle festività di fine anno, è stata una mezza delusione per negozi e commercianti. Secondo la National Retail Federation, le vendite – sia dirette sia online – si sono fermate a 50,9 miliardi di dollari, contro i 57,4 miliardi dell’anno scorso. Un calo dell’11%. In discesa a 133,7 milioni, il 5,2% in meno rispetto al 2013, il numero degli americani che si sono scatenati negli acquisti. Scende anche la somma che ogni consumatore ha speso nell’arco dei quattro giorni. Era stata 407,02 dollari nel 2013, mentre quest’anno è di soli 380,95 dollaro.
“C’è un numero significativo di americani per cui la recessione non è finita”, ha commentato Matthew Shay, presidente della National Retail Federation. La delusione di grandi catene e piccoli commercianti è notevole. Molti avevano previsto un aumento nelle vendite e, per aumentare i ricavi, si erano lanciati in sconti e saldi. Gli economisti stimavano in un +4,1% la crescita delle vendite per i mesi di novembre e dicembre. Il Black Friday sottotono rischia però di far saltare le previsioni. “Pensavamo a uno sprint, siamo in mezzo a una maratona”, ha ammesso Shay.
Alcuni osservatori fanno notare che i risultati del passato week-end non devono essere enfatizzati. “La frenesia del Black Friday appartiene al passato”, fa notare Ken Perkins di Retail Metrics, una società di ricerche di mercato. Le abitudini dei consumatori starebbero cambiando, i loro acquisti sarebbero spalmati su un periodo più vasto e non più soltanto su Thanksgiving e sui giorni immediatamente precedenti il Natale. Ma la verità è che la crisi ha toccato un po’ tutti, in particolare catene e negozi di abbigliamento, che hanno visto crollare la vendita di camicie, jeans e magliette. E’ andata un po’ meglio per l’high-tech. Ma, anche qui, l’aumento nelle vendite non ha beneficiato i prodotti più avanzati, come smartphone e tablet, bensì le televisioni, segno di un’attitudine di consumo che privilegia un prodotto tradizionale e “casalingo”, lontano da edonismi e sperimentazioni.
Edonismo è del resto una parola che nell’America di Obama pochi osano pronunciare. E’ vero che alcuni indicatori – quelli più spesso sbandierati – segnalano una ripresa. La disoccupazione è scesa al 5,8%, il mercato azionario sale e il prezzo della benzina è tornato sotto i 3 dollari al gallone. Eppure, dietro questi numeri, c’è una realtà che non consente facili entusiasmi. Il tasso di povertà è cresciuto negli ultimi due anni del 3,7% e particolarmente alte restano le percentuali di poveri tra gli anziani e, soprattutto, tra i più giovani. Il calo della disoccupazione non racconta poi l’intera storia. Affermare che più americani hanno trovato o ritrovato un lavoro non significa che siano in grado di vivere con il loro salario. Da anni, ormai, lavori sottopagati o pagati male hanno sostituito occupazioni più redditizie, come dimostra il fenomeno di migliaia di adulti specializzati che hanno finito per accettare mansioni di molto inferiori alle loro capacità nell’industria del fast-food.
Di difficile valutazione, e lontano dall’essere emerso davvero, è poi il fenomeno di chi ha abbandonato del tutto la speranza di trovare un lavoro. “Non sappiamo quanto sia vasto il numero di americani che ha mollato – ha spiegato Steve Wenger, direttore esecutivo della Community Action Partnership, un gruppo che combatte la povertà a livello nazionale. – Questa gente non è più nelle statistiche. Il tasso di disoccupazione è sotto il 6%, quindi al livello di sette o otto anni fa, ma ci sono un sacco di lavoratori che mancano all’appello”. Questa combinazione di bassi salari, diminuita capacità di acquisto e allargamento delle povertà si riflette nella percezione che molti americani hanno della loro situazione. Uno studio recente del Pew Research Center rivela che nel 2007 circa la metà degli americani definiva il proprio stato finanziario “buono o ottimo” Oggi soltanto il 37% dei cittadini Usa pensa di vivere in una condizione finanziaria “ideale”.
I numeri deludenti delle vendite del “Black Friday” non sono dunque una sorpresa ma fotografano una realtà che ha contato nella sconfitta dei democratici di Obama alle elezioni di medio termine e che influenza larghi settori dell’opinione pubblica. A conferma dell “ansia americana” c’è un altro dato, e cioè il boom di vendite registrato nel settore delle armi. In un giorno soltanto, venerdì scorso, l’FBI si è vista arrivare 175mila richieste di “controlli” sul passato di altrettanti compratori di una pistola o di un fucile. Un boom simile nelle vendite si era verificato all’indomani del massacro di Sandy Creek, nel dicembre 2012, quando migliaia di americani si precipitarono a comprare un’arma nel timore che il governo potesse proibire il porto d’armi privato. L’incertezza per il futuro contò allora e conta oggi, orientando migliaia di americani a rifugiarsi in un prodotto radicato nella tradizione e nell’immaginario del Paese.