Pubblicato da pochi giorni, fa già molto discutere il nuovo bando per l’atteso concorso in magistratura. Si tratta di 340 posti per i quali decine di migliaia di candidati si preparano a colpi di leggi, codici e cavilli. Solo lo scorso anno sono arrivate 20mila domande, in più di 7mila si sono presentati per i 365 posti disponibili. A finire nell’occhio del ciclone è ora la nuova norma per la quale possono accedere al concorso i laureati con 18 mesi di pratica presso l’Avvocatura dello Stato, con voto di laurea superiore a 105 o una media pari o superiore ai 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo.

Introdotta dal decreto legge sulle “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” (D.L.90/2014), la normativa si pone nell’ottica di offrire ai più meritevoli una via d’accesso al concorso meno onerosa rispetto a quella ordinaria, che prevede tra l’altro una lunga e costosa scuola di specializzazione. Peccato però che, per eterogenesi dei fini, la disposizione confluita nel bando per aspiranti magistrati finisca per ottenere l’effetto contrario, segnando una contestata disparità di trattamento tra meritevoli, con il rischio di incorrere in pronunce di incostituzionalità. Infatti, a essere favoriti sono soltanto gli aspiranti candidati con un periodo formativo post laurea presso l’Avvocatura dello Stato, mentre l’accesso al concorso viene negato a quanti hanno svolto, a parità di merito, la medesima pratica presso altra Avvocatura pubblica (come quelle presso la Banca d’Italia, l’Inps e le Regioni) o presso un qualsivoglia studio legale privato.

“La norma introduce un forte discrimine”, afferma Carmelo Giurdanella, avvocato, docente di diritto amministrativo e degli appalti pubblici, che sui portali giuridici Giurdanella.it e LeggiOggi.it, ha mosso rilievi di carattere costituzionale e prospetta la possibilità di un ricorso collettivo. “Il bando è illegittimo perché la disposizione che introduce la discriminazione tra i praticanti meritevoli dell’Avvocatura dello Stato e tutti gli altri praticanti, altrettanto meritevoli, vìola gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il differente trattamento tra candidati praticanti – prosegue il giurista – è irrazionale in quanto contrasta evidentemente con il principio di uguaglianza che vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe. Infatti, tra i due tipi di pratica – conclude Giurdanella – non intercorre una differenza tale da giustificare il discrimine”.

D’altronde, la stessa Corte Costituzionale si è già pronunciata nel 2010 proprio sull’accesso al concorso in magistratura, sancendo l’illegittimità di previsioni normative che attribuiscono “rilievo decisivo” a requisiti di forma, come la semplice iscrizione all’albo forense. La stessa situazione, cioè, che si presenta oggi con la norma “incriminata” che mette a repentaglio il regolare svolgimento dell’intero concorso 2015.

Non è la prima volta che le ambitissime prove di selezione in magistratura sfociano in denunce di irregolarità e rischi di annullamento. Tra smartphone nascosti, tracce diffuse in anteprima da alcuni rispetto alla dettatura per tutti, codici commentati introdotti irregolarmente, fino al “compito collettivo”, le prove scritte del precedente bando sono state investite da una marea di polemiche, ricorsi e di proteste sul web, fino all’intervento del Codacons che ha chiesto i verbali della Commissione. Un putiferio che potrebbe ripetersi ancora una volta, persino prima che il diario delle prove d’esame venga calendarizzato.

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