E' il "mondo di mezzo", dove tutti si incontrano indipendentemente dal proprio ceto, dove tutto si mischia e dove la corruzione inquina la politica e turba pesantemente gli appalti e con la violenza spaventa o affilia gli imprenditori. "Un gruppo criminale che è il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera che si sono evolute nella Banda della Magliana e poi trasformate" scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare
“Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma. La risposta è che a Roma la mafia c’è”. È Giuseppe Pignatone, già procuratore capo di Palermo e di Reggio Calabria, a firmare il certificato di esistenza di Mafia Capitale, “un’organizzazione romana originaria e originale: autoctona anche se collegata ad altre organizzazioni e con caratteri suoi proprie e originali”. E che è anche evoluzione di quella Banda della Magliana i cui metodi e almeno una figura costituiscono il substrato della nuova, quinta mafia d’Italia. Quest’organizzazione, svelata e colpita con un’operazione del Ros, governava il “mondo di mezzo”, dove tutti si incontrano indipendentemente dal proprio ceto, dove tutto si mischia, dove la corruzione inquina la politica e turba pesantemente gli appalti e dove la violenza spaventa o affilia gli imprenditori.
A capo di questa Mafia Capitale c’è Massimo Carminati, ex Nar ed ex Banda della Magliana. Un uomo che nel rapporto con imprenditori, pubblica amministrazione e politica “preferisce più che ricorrere a minaccia e violenza, usare la corruzione, perché desta meno allarme su magistratura e polizia”. Ma che è anche convinto che sia “necessario ricorrere alla violenza, come quando a un altro indagato dice: a ‘Mancini (Riccardo, ex ad dell’Ente Eur, arrestato) gli passo delle stecche per i favori e lavori, però un giorno gli ho dovuto menare‘”.
Il ragionamento del procuratore Pignatone viene quindi acquisito e accolto dal gip di Roma, Flavia Costantini, che nelle prime sessanta pagine delle 1129 di ordinanza di custodia cautelare scrive, a proposito dell’organizzazione, che “presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui richiamati”. Eppure “essa è da ricondursi al paradigma criminale dell’art.416bis del codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, ovverosia della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza, per il conseguimento dei propri scopi”. Non solo. Secondo il gip, “essa presenta, in misura più o meno marcata, taluni indici di mafiosità, ma non sono essi ad esprimere il proprium dell’organizzazione criminale, poiché la forza d’intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali che delineano un profilo affatto originale e originario“.
Allo stesso tempo, se è vero che la certificazione della esistenza è avvenuta con gli arresti e gli avvisi di garanzia (anche all’ex sindaco Alemanno) che hanno scardinato parte del potere romano, è anche vero che questa criminalità, quella della Banda della Magliana e dell’eversione nera, c’era da tanto e che si è evoluta in mafia con il tempo. “Deve escludersi che la sua genesi sia recente e – argomenta il gip – reputarsi che essa sia radicata da tempo, mentre deve ritenersi che essa sia stata investigativamente colta nella fase evolutiva propria delle organizzazioni criminali mature, che fruiscono, ai fini dell’utilizzazione del metodo mafioso, di una accumulazione originaria criminale già avvenuta”.
Un evoluzione quasi naturale: “A usar metafore, il fotogramma di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione sincronica, rivela un gruppo illecito evoluto, che si avvale della forza d’intimidazione derivante, anche, dal passato criminale di alcuni dei suoi più significativi esponenti; la pellicola di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione diacronica, evidenzia un gruppo criminale che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si sono evolute, in alcune loro componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia Capitale“.
Un’organizzazione criminale “tanto pericolosa quanto poliedrica che, per dirla con le parole di uno dei suoi più autorevoli e pericolosi esponenti, Massimo Carminati (il Pirata o il Cecato), opera, soprattutto, in un mondo di mezzo, un luogo dove, per effetto della potenza e dell’autorevolezza di Mafia Capitale, si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti – prosegue il giudice – tra il mondo di sopra, fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il mondo di sotto, fatto di batterie di rapinatori, trafficanti di droga, gruppi che operano illecitamente con l’uso delle armi”. Mafia Capitale è riuscita lì dove la Banda della Magliana aveva fallito, adattandosi “alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma“ e sul piano del core business una attività “orientata al perseguimento di tutte le finalità illecite considerate nell’articolo 416 bis. Un’organizzazione criminale che siede a pieno titolo al tavolo di altre e più note consorterie criminali, condizionandone l’attività sul territorio romano, che ha piena consapevolezza di sé e del suo ruolo nella gestione degli affari illeciti”.