I giudici di Appello accolgono il ricorso del gruppo Arpe ribadendo la necessità che la vigilanza dei mercati di Giuseppe Vegas riveda il suo iter per i casi penalmente rilevanti e lo allinei ai principi del giusto processo così come stabilito in primavera della Corte europea dei diritti umani
Il Consiglio di Stato ferma la mano di Consob sul gruppo Arpe e ribadisce la necessità che la vigilanza dei mercati di Giuseppe Vegas riveda il suo procedimento sanzionatorio per i casi penalmente rilevanti e lo allinei ai principi del giusto processo così come stabilito in primavera della Corte europea dei diritti umani. Con un decreto datato 2 dicembre 2014, i giudici di Appello amministrativo hanno accolto il ricorso di Banca Profilo e della controllante Arepo contro la sentenza del Tar di giovedì 27 novembre che aveva invece stabilito la correttezza dell’intera procedura, nonostante l’illegittimità del procedimento della Commissione e, quindi, riavviato l’iter sanzionatorio della stessa nei confronti del banchiere e del suo istituto. Il Consiglio di Stato, che nel decreto parla di “sufficienti elementi di fumus” sul “procedimento sanzionatorio qui in rilievo”, rilevando che “l’estrema urgenza e gravità del danno risulta evidente”, ha quindi sospeso l’efficacia della sentenza dei giudici amministrativi e ha fissato la camera di consiglio per la discussione per il prossimo 13 gennaio.
Secondo la Consob Arpe, l’ad di Banca Profilo Fabio Candeli e due trader dell’istituto rischiano una multa fino a 5 milioni di euro per manipolazione operativa oltre all’interdizione che colpirebbe i vertici dell’istituto decapitandolo. Alla base dello scontro giudiziario ci sono gli acquisti di azioni della banca avvenuti tra giugno 2011 e maggio 2013 (che hanno riguardato l’8% del capitale dell’istituto) effettuati da Arepo via Profilo dopo averne avuto l’autorizzazione da Bankitalia e aver comunicato periodicamente gli acquisti alla stessa Consob. Senza aver mai venduto i titoli comprati o aver effettuato operazioni in derivati connesse agli stessi. Consob, in sintesi, accusa Arpe di aver manipolato il valore di Borsa dell’istituto da lui controllato tramite Arepo, ma non ha trovato traccia né di un profitto economico da lui conseguito, né di altre prove schiaccianti. E questo nonostante la lunga ispezione presso gli uffici di Banca Profilo e Arepo datata maggio 2013. Secondo gli sceriffi di Vegas, però, il prezzo di Banca Profilo è stato sostenuto artificialmente per “salvaguardare la reputazione di Arpe” e “fornire un’apparenza di successo all’operazione di salvataggio” della stessa banca.
Stando a questo assioma, accompagnato dalla tesi che Arpe non poteva non sapere quello che facevano i trader visto il suo ruolo, a poco vale che il prezzo delle azioni dell’istituto nel corso degli acquisti analizzati da Consob sia passato da 0,32 a 0,24 euro senza produrre alcun tangibile guadagno agli indagati e che sia invece lievitato fino a 0,45 euro (0,318 euro le quotazioni attuali) solo dopo che l’operatività è cessata. Elementi ai quali si aggiunge un altro fatto rilevante: la curiosa anticipazione dell’esito della contestazione da parte della stessa Consob che, il 5 maggio 2014, prima ancora di aver deliberato definitivamente sul caso tuttora pendente, scriveva nella sua relazione annuale al ministro dell’Economia di aver “accertato” gli illeciti, con un chiaro riferimento a Banca Profilo.
La scorsa estate l’istituto aveva chiesto a Consob di fermare il procedimento perché violava le norme sul giusto processo. La richiesta si richiamava alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel giudizio della scorsa primavera sul caso Ifil Exor, aveva messo in luce delle carenze nel procedimento della Consob (come l’assenza di contraddittorio e di un’udienza pubblica) a fronte della possibilità di emettere sanzioni paragonabili a quelle penali. Il caso era quindi finito sul tavolo del Tar prima e del Consiglio di Stato poi. Quest’ultimo, con un’ordinanza di inizio ottobre, aveva aperto alle istanze di Arpe invitando Consob, nel suo stesso interesse. Nei giorni scorsi, poi, il Tar è entrato nel merito e, pur riconoscendo i limiti della procedura seguita dalla Commissione, ha di fatto contestato l’ordinanza dei giudici di Appello sostenendo che “non sussista affatto «l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata», affermato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014”. Da qui il ricorso di Profilo e Arepo che è stato accolto dai giudici di Appello.