Matteo Renzi ha sbagliato mira. Nel Jobs act il premier ha puntato l’articolo 18 rendendo più facili i licenziamenti, poi ha sparato sull’articolo 4, permettendo il controllo a distanza e infine ha dato una botta all’articolo 13 per facilitare il demansionamento. Però, guarda caso, non ha sfiorato l’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori che riguarda i politici e un politico in particolare: Matteo Renzi. Se ci fosse ancora una sinistra, se il M5S fosse un movimento di opposizione e non una fabbrica di espulsioni, se i giornali facessero il loro mestiere, Renzi non potrebbe toccare gli articoli 18, 4 e 13 senza prima mettere mano all’articolo 31. Invece, grazie alla distrazione generale, un sedicente ‘leader della sinistra’ può abbattere i diritti dei lavoratori senza toccare i privilegi della Casta. E nessuno fiata.
La norma tabù della quale il Jobs act non si occupa dispone: “I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee regionali, ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato. I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione (…) l’interessato, in caso di malattia, conserva il diritto alle prestazioni”. La norma si applica anche in caso di distacco sindacale ed era nata per favorire l’accesso alla politica del lavoro dipendente. L’operaio eletto per fare gli interessi della classe operaia non doveva essere soggetto al ricatto del padrone delle ferriere e la legge gli concedeva il diritto all’aspettativa e ai contributi figurativi.
Questa conquista dei lavoratori, purtroppo, è stata usata spesso dai furbetti di ogni parte politica per farsi assumere pochi giorni prima dell’elezione o (in caso di elezione sicura) della candidatura per poi ottenere, a spese dei contribuenti, il diritto a pensione e cure. Matteo Renzi era solo un collaboratore nella società Chil fondata dal padre Tiziano. Il 27 ottobre 2003, proprio un giorno prima che il suo partito lo candidasse alla presidenza della Provincia di Firenze, come abbiamo scritto sul Fatto: mamma Laura assume in Chil il figlio. Tre giorni dopo l’assunzione, l’Ansa racconta ‘la positiva accoglienza degli alleati della candidatura del giovane Renzi’. Il 4 novembre, otto giorni dopo l’assunzione, arriva l’ufficializzazione. La Chil assume Renzi a rischio zero: il candidato presidente del centrosinistra è come se fosse già eletto a Firenze e comunque, dopo una quasi impossibile trombatura, Matteo Renzi poteva pur sempre tornare a fare il collaboratore della Chil per non pesare sulle spalle di mamma e papà. A giugno 2004 Renzi come da copione è stato eletto prima presidente. Nel 2009 è stato rieletto sindaco e così per una decina di anni i suoi contributi li ha pagati la collettività. Solo dopo l’ascesa a Palazzo Chigi, su richiesta del Fatto e nel disinteresse della grande stampa, Renzi si è dimesso dalla Chil con un bel gesto del quale gli abbiamo dato atto.
Questa complicata ricostruzione era noiosa ma necessaria per comprendere perché è vergognoso che Renzi tocchi prima l’articolo 18 dell’articolo 31 dello Statuto. Con quale faccia uno che non ha mai lavorato da dipendente vero di una società, si permette di toccare i diritti dei lavoratori prima di avere toccato il privilegio ingiustificato che oggi gli permette di avere 10 anni di anzianità? Renzi non è stato un caso isolato. L’articolo 31 è stato usato in circostanze diverse anche da Josefa Idem (indagata) e da tanti altri politici. Si dirà: l’articolo 31 dello Statuto è una norma giusta e non sarebbe corretto abolirla per tutti solo perché qualcuno se ne approfitta. Si può però prevedere una norma anti-furbetti: l’articolo 31 potrebbe scattare solo se il politico eletto era già dipendente della società almeno un anno prima dell’elezione. Inoltre si potrebbe prevedere una sorta di verifica del diritto per evitare trucchi e truffe.
Illustri giuristi renziani si esercitano ogni giorno sull’articolo 18. Provino a trovare la formula giusta per l’articolo 31. Non è una questione tecnica né una questione politica. Questa è una questione di giustizia: prima di toccare i diritti dei lavoratori, Renzi e i suoi devono far sparire dal tavolo tutte le furbate e i privilegi della Casta.
Il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2014