Il report di Openpolis: dal 1996 a oggi nessuno aveva fatto ricorso così tante volte al metodo per "blindare" i provvedimenti. Il premier al 52,73%, e balza al 74,3% escludendo le ratifiche di trattati. Secondo Monti (45,13%). I parlamentari insorgono: "Presidenzialismo di fatto"
Il record senza precedenti lo ha stabilito con la “tripletta” messa a segno nel fine settimana, grazie ai tre voti di fiducia chiesti e ottenuti sulla Legge di stabilità. Strumento al quale, da quando si è insediato il 22 febbraio, il governo Renzi è già ricorso 29 volte, 16 alla Camera e 13 al Senato, su un totale di 55 leggi licenziate dal Parlamento in poco più di nove mesi. Un primato assoluto che nessuno dei suo predecessori, dalla XIII legislatura in poi, avevano neppure sfiorato. Un vero e proprio attacco di “fiducite” per l’esecutivo guidato dall’ex sindaco di Firenze, che ha portato al 52,73% il rapporto tra voti di fiducia e leggi approvate (più di una su due). “Il valore più alto registrato dal 1996 in poi”, certifica lo studio realizzato dall’associazione Openpolis che ha elaborato i dati mettendo a confronto i numeri degli ultimi undici esecutivi.
UNA SCALATA DA RECORD. Ma nel record stabilito dal governo guidato da Matteo Renzi c’è anche un altro dato che merita di essere sottolineato. Perché se si sottraggono dal totale delle leggi approvate «le ratifiche da parte del Parlamento di trattati internazionali (in tutto 16, ndr), che hanno ben poco valore politico e un esito abbastanza scontato», fa notare ancora Openpolis, il rapporto tra voti di fiducia e leggi approvate, sale addirittura al 74,3%. E vista la determinazione del premier ad approvare in tempi stretti le riforme del mercato del lavoro (Jobs Act), della legge elettorale (Italicum) e la riforma costituzionale, prevede Openpolis, «non ci sarà da sorprendersi se le “fiducite” del governo continuerà nei prossimi mesi». Un quadro allarmante nel quale, nonostante la Costituzione disegni l’impianto istituzionale del Paese come una Repubblica parlamentare, il vero fulcro dell’attività legislativa sta diventando proprio il governo. Che, a colpi di fiducia, sta mortificando le Camere riducendole a mero organo di ratifica dei provvedimenti dell’esecutivo.
NESSUNO MAI COME RENZI. E a proposito di fiducia, il paragone con i governi che l’hanno preceduto è impietoso. Dalla XIII legislatura in poi, il vecchio primato si era fermato al 45,13% (51 fiducie su 113 leggi approvate), stabilito dalla squadra guidata da Mario Monti. Neppure i precedenti esecutivi di centrosinistra presieduti da Romano Prodi, nonostante l’incertezza dei numeri sui quali si sorreggevano in Parlamento le sue maggioranze, avevano mai osato tanto. Il Prodi I si fermò al 9,07% (42 su 463), il secondo esecutivo del Professore, invece, toccò il 33,93% (38 su 112). Ma il governo Renzi ha seminato anche il tanto vituperato Berlusconi, che nei due esecutivi guidati nella XIV legislatura, chiuse la sua esperienza rispettivamente al 5,58 (42 su 753) e al 15,03% (23 su 153), prima di ritoccare il suo primato personale sul 16,42% (45 su 274) nella XVI legislatura. Più che doppiato anche il governo di Enrico Letta che, prima di essere defenestrato dallo stesso Renzi all’indomani del celebre «Enrico stai sereno», era ricorso alla fiducia 9 volte su un totale di 37 leggi approvate (24,32%).
PRESIDENZIALISMO DI FATTO. Dati di fronte ai quali Pino Pisicchio, del Gruppo Misto, non ha dubbi. «Renzi sta spingendo un passo oltre il processo di presidenzializzazione avviato da Berlusconi – spiega –. Con il risultato che stiamo oggi vivendo una sorta di presidenzialismo di fatto non bilanciato costituzionalmente». E vista la situazione non restano che due opzioni. «O si riforma la Costituzione modificando la forma di governo per introdurre un presidenzialismo bilanciato – conclude Pisicchio – oppure il Parlamento resterà, come è di fatto adesso, un mero organo di ratifica dei provvedimenti dell’esecutivo». Critico anche il giudizio di Alfredo D’Attorre del Pd. «Siamo arrivati ad un punto limite riguardo al ricorso, da parte del governo, alla fiducia e alla decretazione d’urgenza – ammette l’esponente dell’ala bersaniana –. Credo sia il momento di fissare dei paletti escludendo, ad esempio, che la fiducia non possa essere chiesta su leggi delega». Tema ancora più delicato in vista dell’esame della legge elettorale e delle riforme costituzionali. «Argomenti che rientrano nella specifica sovranità del Parlamento – avverte D’Attorre –. E sui quali mi auguro che il governo dimostri un atteggiamento rispettoso delle prerogative delle Camere».
Simone Baldelli, vice presidente della Camera in quota Forza Italia, sottolinea un altro aspetto. «Mi colpiscono, innanzitutto, i dati sui governi Berlusconi che rivelano quanto fossero strumentali e artificiose all’epoca le accuse di chi gli rimproverava di fare eccessivo ricorso alla fiducia – spiega il deputato azzurro esperto di regolamenti parlamentari –. Da questo punto di vista, oggi i vecchi detrattori dei governi Berlusconi dovrebbero ammettere che gli esecutivi guidati dal Cavaliere sono stati migliori di quelli che li hanno seguiti e preceduti». E aggiunge: «Quanto al governo Renzi, tenuto conto del fisiologico calo delle proposte di legge di iniziativa parlamentare a causa della scarsità di risorse finanziarie disponibili, è anche vero che il ricorso alla fiducia è stato spesso segnato da motivazioni di carattere politico – conclude Baldelli -. In particolare, dalla necessità del premier di superare situazioni difficoltà e divisioni interne nel suo stesso partito o nella maggioranza».
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