Il capo della banda che terrorizzò l'Emilia Romagna aveva chiesto che fosse applicato uno sconto di pena a 30 anni. Ma la Corte d'assise di Bologna ha rigettato l'istanza. L'avvocato annuncia ricorsi in Cassazione e, se servirà, anche alla Corte europea per i diritti umani
Fabio Savi rimane in carcere, ma ora potrebbe fare ricorso in Cassazione e se non bastasse, alla Corte europea per i diritti umani. La Corte di assise di Bologna ha infatti rigettato l’istanza del Lungo della banda della Uno Bianca, che chiedeva una riduzione di pena. Savi sta scontando la pena dell’ergastolo per 24 omicidi e un centinaio di rapine commessi assieme a suo fratello Roberto e ad altri membri del gruppo criminale che seminò il panico in Emilia Romagna tra il 1987 e il 1994. I giudici Michele Leoni e Paola Passerone e i 6 giudici popolari, il 2 dicembre hanno respinto la richiesta di trasformare il “fine pena mai” in 30 anni di reclusione. Una decisione, che se fosse stata favorevole, tra sconti per buona condotta e indulto, avrebbe potuto portare molto presto a una scarcerazione. Savi, difeso dall’avvocato Ada Maria Barbanera, chiedeva infatti che venisse applicato a posteriori lo sconto di pena per il rito abbreviato, che ai tempi del processo per legge non si poteva chiedere. All’istanza si era opposto, dichiarandola “inammissibile”, il procuratore aggiunto Valter Giovannini, lo stesso pm che 20 anni fa fece condannare gli uomini della banda. “Ci fa piacere che la magistratura abbia lavorato bene”, ha detto Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno Bianca, all’agenzia Ansa. “Avevamo un po’ paura che questi assassini finissero fuori”.
La Corte, pur reputando l’istanza ammissibile, ha stabilito che mancano i “presupposti operativi relativi al principio della retroattività e della ultrattività in mitius”, cioè per una pena più mite. E ora l’avvocato Barbanera, contattata da ilfattoquotidiano.it non esclude la possibilità di un ricorso anche in Europa. La battaglia giudiziaria del pluriomicida Savi è tutta tecnica e deriva dalla sentenza Scoppola della Corte europea per i diritti dell’uomo. I giudici di Strasburgo nel 2009 hanno infatti imposto allo Stato italiano di sostituire la pena dell’ergastolo con i 30 anni nei confronti di Franco Scoppola, detenuto condannato per l’omicidio della moglie. Il giudizio abbreviato, inserito in Italia con la riforma della procedura penale nel 1989 e che dà diritto allo sconto di un terzo della pena, fino al dicembre 1999 non era utilizzabile nei processi che prevedessero la pena dell’ergastolo. Nel dicembre 1999 una modifica (legge 479) inserì la possibilità del rito abbreviato anche per i reati puniti con l’ergastolo, con la previsione di uno sconto automatico a 30 anni di reclusione. Nel novembre 2000 la norma è cambiata ancora, ma è proprio su quegli 11 mesi tra il 1999 e il 2000 che la difesa di Savi punta per ottenere la revisione, secondo il principio “della legge posteriore più favorevole”. Il richiamo di Savi è peraltro all’articolo 3 della Costituzione italiana, quello che prevede che tutti i cittadini “sono uguali di fronte alla legge”. Dunque, è il ragionamento della difesa, ci sarebbe una discriminazione tra chi come Savi non poteva richiedere il rito abbreviato e quindi l’automatica riduzione della pena a 30 anni e chi, giudicato tra dicembre 1999 e novembre 2000, si è potuto avvalere di questa agevolazione. Ma per il momento questo argomento non ha convinto i giudici.