Non dette subito l’emergenza generale perché voleva far arrivare la Costa Concordia sotto costa. La Capitaneria non doveva chiamarla lui. Non usò le parole “abbandonare la nave” e fece trasmettere annunci rassicuranti per non creare panico. Nega che fosse lui a essere inquadrato sul ponte della nave, in procinto di salire su una scialuppa. Francesco Schettino ricostruisce così le fasi dell’emergenza a bordo della Costa Concordia che comandava la sera del 13 gennaio 2012 quando la nave da crociera finì sugli scogli delle Scole, all’isola del Giglio, il 13 gennaio 2012, naufragò e causò 32 morti. La nuova udienza del processo a suo carico, a Grosseto, era dedicata ad approfondire l’accusa di aver abbandonato la nave.
Come nella prima udienza (quando aveva scaricato una buona dose di responsabilità sul resto della plancia di comando), Schettino tenta di allontanare da sé le colpe di quella sera e giustifica i suoi comportamenti, censurati dalla Procura di Grosseto. Eppure non rinuncia all’ultimo scatto d’orgoglio: “Io, come comandante, sono il primo dopo di Dio” risponde l’ex capitano al pm Alessandro Leopizzi che lo incalza sul tardato allarme.
Schettino: “Io, come comandante, sono il primo dopo di Dio”
Il pubblico ministero lo ha interrogato sette ore. “Perché lei, Schettino, tardò a dare il segnale di emergenza generale?”. “Volevo far arrivare la nave più possibile sotto l’isola – ha risposto l’imputato – Altrimenti se avessimo dato i sette fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c’erano state, la gente si sarebbe tuffata in acqua“, mentre la Concordia scarrocciava ancora in mare aperto. “Ho atteso a dare l’emergenza generale, me ne prendo la responsabilità”, ha spiegato perché “sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave, io conoscevo bene la Concordia, volevo che si avvicinasse all’isola per dare l’emergenza generale. Il danno era ormai fatto. Andava mitigato”.
Leopizzi ha comunque insistito molto sul ritardato allarme anche perché la nave aveva i locali motore allagati, non aveva più propulsione, il generatore d’emergenza era ko: tutte cose che Schettino seppe presto. E quando ha chiesto degli annunci vocali rassicuranti fatti dare dal personale ai croceristi terrorizzati, Schettino ha risposto: “L’ho fatto per tranquillizzare le persone, temevo il panico. Non erano mica su un ottovolante”. Il pm ha chiesto perché non avvisò la capitaneria (è un altro reato) e invece si limitò a far dire che c’era un black out.
E’ qui che Schettino tira in causa Roberto Ferrarini, il capo dell’unità di crisi della flotta di Costa quella sera, un altro dei co-indagati con Schettino che ha patteggiato: “Mi disse ‘Chiamo io la capitaneria’, mentre io feci chiamare la capitaneria di Civitavecchia cui do il mio cellulare, sempre nella consapevolezza che la nave rimanesse a galla con tre compartimenti allagati come mi era stato detto” e “per chiamare i rimorchiatori”. Ma il pm: “Non chiese via radio i rimorchiatori, voleva risparmiare sul costo?”. “Via radio no, perché avrebbero sentito tutti, volevamo un profilo basso”, comunque “io non ho privilegiato la nave rispetto alle vite umane. Il prezzo l’avrei concordato dopo”. E l’abbandono nave, perché non lo ordinò? “Dissi ‘mettere a mare le scialuppe’ e non ‘abbandonare la nave’ per indorare la pillola, perché non volevo che aumentasse la tensione”.
A fine udienza si parla di un altro abbandono, quello suo, mentre c’erano ancora passeggeri da salvare a bordo. Il pm Leopizzi ha mostrato il video allegato dalla procura qualche giorno fa agli atti del processo. Ma Schettino non si è riconosciuto nell’uomo in giacca e cravatta che attende al ponte 3 della Concordia, inclinata, nelle fasi di evacuazione. “Se indossa una giacca, non sono io. Se è una giacca a vento tipo slam, sì”, ha detto al pm dicendo di non riconoscersi in quella figura. “Se ci sono delle stellette non è la mia giacca”, ha aggiunto riferendosi a due punti lucenti visibili sul capo di abbigliamento. Concede solo: “Per il taglio dei capelli e per la corporatura potrei essere io”. Il presidente Giovanni Puliatti ha incaricato il pm di fare un ingrandimento del video e ha aggiornato l’interrogatorio all’11 dicembre.