Nell’area cokeria dell’Ilva “insiste il rischio cancerogeno” e occorre “garantire che gli agenti contaminanti non possano essere introdotti nei refettori di reparto”. Queste parole le troviamo in un verbale di riunione interna all’Ilva che ha come oggetto “utilizzo mense centrali da parte degli impiegati area coke”. Il timore è che le mense possano essere contaminate dalle sostanze cancerogene che si poggiano sulle giacche, sui pantaloni e sulle scarpe dei lavoratori della cokeria.
La soluzione transitoria scelta è quella di dare 15 minuti per “indossare indumenti non contaminati”.
E’ una questione scottante nata dopo una ispezione della Asl. E’ del 30 gennaio 2012 il verbale n.41/2012/Bg che sollecitava una soluzione in linea con il dlgs 81/08. Ma è normale che le tute dei lavoratori siano intrise di sostanze cancerogene?La normativa è chiara: le sostanze cancerogene non dovrebbero entrare in contatto con i lavoratori. L’inquinamento va mantenute all’interno di ambiti confinati. Se ciò non è tecnicamente possibile, le sostanze cancerogene vanno efficacemente aspirate ed eliminate nei punti più vicini alla sorgente. L’articolo 237, comma 1, lettera c), prevede che il datore di lavoro abbia delle responsabilità in tal senso. Infatti il datore di lavoro “progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni o mutageni nell’aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l’eliminazione degli agenti cancerogeni o mutageni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata”.
Fate attenzione: la normativa parla anche di “agenti mutageni”. I lavoratori in fabbrica rischiano cioè di entrare in contatto anche con sostanze mutagene che possono provocare un “danno genetico”: i lavoratori possono danneggiare il Dna dei loro figli. Possono cioè trasmettere il danno genetico che essi stessi hanno subito. In particolare il benzo(a)pirene “può causare danni genetici ereditari“.
Esistono oggi esami fortemente predittivi del rischio genotossico. Potrebbero essere istituiti appositi protocolli di sorveglianza sanitaria. E’ potere della Asl effettuare un monitoraggio biologico delle urine dei lavoratori. Si potrebbe creare una banca dati delle urine e del sangue dei lavoratori in modo da conservare in provetta le “tracce” delle esposizioni, potendo effettuare comparazioni anche con campioni fra il “prima” e il “dopo”. Molto importante è la cartella sanitaria e di rischio e la compilazione di un registro degli esposti, con i dati numerici e il livello di esposizione.
Fra i lavoratori comincia ad affermarsi una nuova coscienza del rischio. E’ un fatto importante. Ma non è ancora nata una strategia di prevenzione avanzata. I lavoratori a mio parere non sono attualmente in grado di richiedere e controllare il biomonitoraggio con l’idrossipirene urinario, ad esempio. E’ un esame già eseguito fra i lavoratori della cokeria e da cui sono emersi valori elevati.
Ma di questo si discute pochissimo, quasi nulla: eppure lo stato di buona salute degli operai è garanzia della protezione della salute dei cittadini.
Occorre oggi conoscere nell’Ilva la mappa numerica – reparto per reparto – dei lavoratori esposti a rischio cancerogeno e genotossico, con relativa quantificazione dei livelli di esposizione sostanza per sostanza. E’ una mappa obbligatoria per realizzare il Documento Valutazione dei Rischi. Ma soprattutto a me sembra che ancora pochi lavoratori sappiano che la loro esposizione in fabbrica potrebbe danneggiare il Dna dei loro figli e dei futuri nipoti. Si parla del cancro, ma non dell’effetto genotossico di alcune sostanze mutagene. I bersagli del danno genotossico sono i bambini non nati.
Molto allarmati sono i pediatri di Taranto che su questo hanno cercato di sensibilizzare i parlamentari della Commissione Bicamerale Infanzia circa il benzo(a)pirene. Occorrerebbe fare una grande campagna di informazione sul danno genotossico, ossia sul danno genetico può trasferirsi non solo sui figli ma anche sui nipoti. Se questi lavoratori Ilva – che oggi in mensa devono presentarsi senza la tuta della cokeria perché contaminata – diventeranno nonni, un giorno potrebbero avere un terribile sospetto. Un nipotino che nasce con un danno genetico è la peggiore eredità che si potrebbe lasciare. E’ un problema etico di cui ancora non si discute pubblicamente. E qualcuno forse, troppo tardi, un giorno si chiederà: “Mio Dio, che cosa abbiamo fatto?”