Politica

Jobs act, ok alla fiducia al Senato: 166 sì. La legge delega diventa definitiva

Ricchiuti e Casson non partecipano al voto, no di Mineo. Renzi: "L'Italia cambia davvero. E noi andiamo avanti". Poletti: "Testo migliorato, presto i decreti attuativi". Sel espone cartelli in Aula: "Ritorno all'800"

L’Aula del Senato ha dato il via libera definitivo alla delega sul lavoro, ormai conosciuta come Jobs Act, per la quale il governo ha chiesto il voto di fiducia. Hanno detto sì 166, no 112, 1 astenuto. Con questo voto il governo Renzi ha incassato la sua 32esima fiducia. Lucrezia Ricchiuti e Felice Casson, entrambi del Pd, non hanno partecipato al voto. La Ricchiuti aveva annunciato in Aula che non avrebbe dato la fiducia sul Jobs act come aveva già fatto per il voto di fiducia dell’8 ottobre sullo stesso provvedimento. Sia lei che Casson, considerati civatiani, sono sempre stati contro la politica di Renzi sul lavoro. Un altro esponete dell’ala del dissenso all’interno del Pd, Corradino Mineo, ha invece pronunciato il suo “no” passando sotto i banchi della presidenza.

Ora, come ha sottolineato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il Governo punta ad approvare già entro fine anno i primi decreti attuativi. “Il Jobs Act diventa legge. L’Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti”, twitta subito dopo il voto finale il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il Parlamento “ci consegna un testo significativamente cambiato e migliorato”, sottolinea invece Poletti dopo le polemiche dei giorni scorsi sullo scarso peso delle Camere, ribadendo che in pole position fra i decreti ci dovrebbero essere le norme attuative del contratto a tutele crescenti (e le modifiche dell’articolo 18) in modo da utilizzare gli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità per le assunzioni fatte nel 2015 e la revisione dell’Aspi con l’estensione del sussidio per chi perde il lavoro anche ai collaboratori (figura per la quale si prevede il “superamento” con l’arrivo del contratto a tutele crescenti). Tempi più lunghi dovrebbero esserci invece per il varo della riforma del resto degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, la mobilità dovrebbe andare a esaurirsi a fine 2016) diluendo l’operazione (costosa) su più anni).

“Questa è la grande legislatura delle riforme” ha detto prima del voto Renzi, esprimendo solidarietà al deputato Antonio Boccuzzi, ex operaio della ThyssenKrupp, scampato alla tragedia di Torino) oggetto di insulti per aver detto sì alla riforma. Il provvedimento ha incassato il sì anche della minoranza Pd che ha votato la fiducia “per senso di responsabilità” nonostante le criticità segnalate sulla delega. Soddisfazione per il testo è stata espressa dal presidente della Commissione lavoro del Senato (Ncd), Maurizio Sacconi che ha chiesto al Governo di scrivere nei decreti delegati “norme semplici e applicabili, a partire da quell’articolo 18 che dobbiamo lasciare alle nostre spalle con tutto il suo bagaglio di ostilità all’impresa e di accanimento ideologico”. Meno soddisfatto della mediazione è apparso il presidente della Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano che al provvedimento ha dato un “sei meno meno”, voto inferiore anche a quello dell’ex ministro, Elsa Fornero (6-). Voto assolutamente negativo da parte dei senatori di Sel che dopo aver annunciato il no alla fiducia hanno esposto dai banchi alcuni cartelli contro il Jobs Act (“Jobs Act: ritorno all’800”; “Art.1: l’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro”). “Smantellano civiltà dei diritti del lavoro – dice  Nichi Vendola – e lo chiamano Jobs Act”.