A chi si interroga sui perché del progressivo distacco della popolazione dalle classi dirigenti del paese, una risposta può stare nella parola “arroganza”, che è ciò che in misura variabile i legislatori, i burocrati e la varie strutture dello Stato e degli enti locali mostrano quotidianamente nei confronti dei cittadini/sudditi, approntando norme che vanno spesso incontro ai capricci di amministrazione centrale, Regioni, Province e Comuni e di fronte alle quali i cittadini medesimi non possono fare altro che subire e coltivare un livore interiore nei confronti di chi, trincerandosi dietro discutibili presunzioni di interesse pubblico, utilizza le norme per infierire.
L’arroganza si estrinseca in procedure vessatorie, in interpretazioni delle norme nel modo più conveniente per le amministrazioni e più restrittivo nei confronti del cittadino, in prese di libertà nel trattare “elasticamente” le prescrizioni; il distacco invece si misura dal proliferare dell’insofferenza nei confronti dei vari enti e delle loro pretese, dalle manifestazioni pubbliche e individuali di protesta e, non ultima, dall’astensione elettorale che preoccupa, solo a parole, i nostri politici.
Il limite dall’arroganza sembra essere stato superato dall’amministrazione comunale di Milano nel gestire l’enorme mole di multe che eroga a seguito dell’installazione di numerosi autovelox sul proprio territorio.
Che gli autovelox siano passati da strumento deterrente a modo di fare cassa da parte degli enti locali è cosa ormai acclarata e logicamente intuibile dalla proliferazione degli autovelox su strade nelle quali la bassa percezione di pericolosità incoraggia ad accelerare un po’ e dove il limite di 10 Km/h di eccesso che fa scattare le sanzioni economicamente rilevanti. Significa che un malcapitato può incorrere in multe gravose guidando a 61 Km/h (dopo franchigia del 5%) magari su un tratto a tre corsie per senso di marcia con guard rail divisorio, come è il caso di Via dei Missaglia, zona Sud di Milano dove l’amministrazione Pisapia ha installato uno strumento nel marzo del 2014.
Fin qui la situazione, ancorché deprecabile, è probabilmente comune ad altre città o tratti di strade provinciali, ma il Comune di Milano è stato preso alla sprovvista dall’incredibile numero di multe comminate ai propri cittadini e anziché rendersi più efficiente per riuscire a processarle tutte nei tempi di legge si è inventato, con estrema arroganza, di far decorrere i 90 gg che la legge prescrive per la notifica, pena la nullità, non dal giorno in cui l’infrazione viene commessa (data certa e documentata fotograficamente) ma dal giorno nel quale, in ufficio, un vigile urbano processa l’atto (data che potrebbe teoricamente slittare di anni); infatti, i verbali di detto Comune esplicitano ciò indicando con presunzione che i termini della notifica decorrono da quella data.
Questo non è parso troppo corretto a varie associazioni di consumatori che hanno promosso ricorsi a valanga, ma soprattutto appare scorretto nella lettura del ministro degli Interni che, in risposta a un quesito della prefettura di Milano (inondata di ricorsi) afferma che: “Le perplessità manifestate da codesto ufficio…appaiono condivisibili…) indicando anche come le ragioni di eventuali ritardi sui 90 gg canonici potrebbero essere prese in considerazione solo se “…dipendenti da fattori esterni e non da prassi organizzative interne…”
“Ubi major, minor cessat“, si penserebbe; ma il Comune di Milano insiste, pro domo sua e per bocca dell’assessore alla polizia locale, dichiara che il fattore “esterno” che renderebbe impossibile il rispetto dei tempi è – udite udite – il volume delle multe.
Avete capito bene: il Comune di Milano che si è organizzato per elevare centinaia di migliaia di contravvenzioni afferma che il non avere adeguato la propria organizzazione per processarle nei tempi prescritti è un causa “esterna” che giustificherebbe l’inosservanza della legge!
Ciò non è apparso affatto motivato al Giudice di pace di Milano Francesco Rocca il quale a fronte di uno degli ennesimi ricorsi ha sentenziato il 20 Novembre 2014 che “i Comuni dovrebbero adeguarsi al progresso telematico e di ricerca dei dati“. Insomma, realizzino di essere nel 2014 e si diano una mossa.
Ci si aspetterebbe ora una quasi dignitosa retromarcia da parte del Comune, che evitasse di inviare altre notifiche a tempi scaduti e annullasse quelle emesse fino a ora in questo modo, ma l’arroganza raramente si concilia con il realismo e il ripensamento e quindi c’è da aspettarsi che Prefettura e Uffici dei Giudici di pace saranno inondati da innumerevoli altri ricorsi, questi sì in quantità inaspettata e non ipotizzabile. Tutto ciò causerà costi non necessari (che sarebbe bene venissero addebitati all’amministrazione che li provoca) e probabilmente impedirà che i ricorsi vengano processati nei tempi dovuti e prescritti. Fortuna per il cittadino che in questo caso l’impossibilità di valutare il ricorso nei tempi previsti significa l’implicito accoglimento dello stesso.
Comunque vada a finire, la vicenda porta altra acqua al mulino del distacco del quale parlavo all’inizio.