La legge parla chiaro: il prefetto deve insediare una "commissione d'accesso", che valuta la necessità di commissariamento, quando emergono "collegamenti" degli amministratori "con la criminalità organizzata". Il sindaco Marino è estraneo, ma i casi Quarzo, Coratti e Ozzimo sono sufficienti
Dopo l’inchiesta ‘Mondo di mezzo’, il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro dovrebbe inviare una commissione di accesso presso il Comune di Roma. La commissione dovrebbe valutare l’eventuale condizionamento malavitoso dell’ente. E, in caso affermativo, l’iter prevede che il prefetto invii la relazione al ministro dell’Interno che propone lo scioglimento per mafia, disposto da un decreto del Presidente della Repubblica. A livello politico, è la richiesta arrivata oggi dal Movimento 5 Stelle.
La norma, introdotta nel 1991, e poi successivamente inserita nel testo unico sugli enti locali (267 del 2000), che ha portato, fino ad ora, allo scioglimento di oltre 250 enti locali, ha, infatti, un carattere preventivo. Un caso, quello di Roma, che rientra nella legge, nonostante la modifica in senso restrittivo del 2009.
La ratio della legge è chiara e punta a contrastare il condizionamento mafioso dell’ente e prevede lo scioglimento quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi”. Condizionamento che compromette l’imparzialità delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi a loro affidati. A Roma, quello che emerge dall’inchiesta, rientra perfettamente nella previsione di legge. Vediamo perché.
I fatti riguardano la passata giunta Alemanno, ma quelli avvenuti con l’elezione del sindaco Ignazio Marino, totalmente estraneo all’indagine, sono sufficienti. La norma, infatti, non richiede il condizionamento o coinvolgimento del primo cittadino, basta quello di semplici consiglieri comunali.
Ebbene dall’ordinanza cautelare emergono alcuni fatti incontrovertibili. La nomina del presidente della Commissione trasparenza del Comune di Roma è stata deciso durante un pranzo da Massimo Carminati, ritenuto capo della cupola mafiosa, disarticolata dall’inchiesta dei carabinieri del Ros. La scelta è finita su Giovanni Quarzo, esponente di Forza Italia, indagato nell’inchiesta.
E’ il luglio 2013 quando, a pranzo con Luca Gramazio, all’epoca capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale, il padre Domenico, storico senatore di An, c’è Massimo Carminati. Attraverso un’abile manovra politica si decide il nome del futuro presidente della commissione trasparenza, nomina poi agevolmente ottenuta. Il gip Flavia Costantini scrive: “Il rapporto di Quarzo Giovanni con l’organizzazione criminale, veniva già evidenziato dallo stesso Carminati Massimo durante una conversazione…” e più avanti viene evidenziato come “lo stesso Quarzo si rivolgesse al sodalizio criminale per favorire la propria nomina a presidente della commissione trasparenza del comune di Roma”.
Una compromissione degli organi elettivi eloquente, non solo. Il condizionamento avviene anche su esponenti della maggioranza. Emblematico il caso dell’attuale presidente del consiglio comunale Mirko Coratti, ex Udeur, oggi Pd, dimissionario perché indagato nella mega inchiesta. Secondo quanto riferisce al telefono Salvatore Buzzi, considerato ai vertici di mafia capitale, Coratti era a libro paga dell’organizzazione criminale: “Me so comprato Coratti” diceva Buzzi a telefono con un’erogazione di 10mila euro”. C’è anche un assessore finito nelle carte e indagato, si tratta di Danilo Ozzimo. Anche lui si è dimesso dichiarandosi estraneo ai fatti. Le dimissioni non annullano l’esigenza prevista dalla norma di chiarire il livello di condizionamento del civico consesso.
Infine c’è il capitolo commesse pubbliche. Nelle carte dell’inchiesta un paragrafo è dedicato alle corruzioni e turbative d’asta avvenute in Ama, società del Comune che si occupa della raccolta dei rifiuti, dal 2013 al 2014. Fanno riferimento al periodo nel quale Giovanni Fiscon, finito in galera, ricopriva ancora il ruolo di direttore generale dell’Ama. Il Gip è chiaro: “La ricerca di nuovi interlocutori, capaci per il loro munus publicum di incidere sugli affari condotti con Ama, è dimostrata dall’attività di aggancio e di costruzione di rapporti con Mattia Stella, della segreteria del sindaco Marino, nonché con Mirko Coratti (…) e Franco Figurelli, della sua segreteria particolare, gratificato, secondo Buzzi, da una retribuzione di 1000 euro al mese”.
Cambiata la maggioranza, la mafia capitale continua la sua attività: “Tale capacità di adattamento – si legge nell’ordinanza – e l’immediatezza dei risultati ottenuti, evidenzia al contempo la stabilità della struttura associativa e la circostanza che la penetrazione della pubblica amministrazione sia uno dei suoi obiettivi irrinunciabili”. Ora tocca a Giuseppe Pecoraro, il prefetto di Roma disporre l’accesso con la nomina di una commissione d’indagine. Proprio Pecoraro che, nel 2011, diceva: “A Roma solo piccole bande, non vera mala. Roma non è Napoli”. Infatti è mafia capitale.