L’ultimo romanzo di Francesca Romana Capone, Più di quel che avanza (Baldini & Castoldi, 2014, 205 pp., 17 euro) piacerà a tutti coloro cui è piaciuto Non ti muovere di Margaret Mazzantini e… anche a coloro cui quel libro lì non è piaciuto. Se infatti l’impianto generale dei due lavori è analogo (un incidente stradale quasi mortale costringe a una riflessione sulla nuova realtà che si apre ai protagonisti), in Capone la riflessione è cinico-sarcastica, mentre in Mazzantini è drammatico-elegiaca. Cosa significa? Che nel romanzo di Capone la donna quarantenne che finisce semi-paralizzata a letto osserva lo sgretolarsi della sua vita familiare e sentimentale con un tono certamente lontano dalla tragedia della situazione, per scegliere un’introspezione più filosofica, di stampo stoico e di accettazione di una realtà che certo non piace, ma è abbracciata senza indecisioni e perfino con un filo di sarcasmo. Dunque una base di partenza analoga, ma uno sviluppo e un punto di vista assai divergenti. E non ce ne voglia la pur brava Mazzantini, ma il controllo linguistico e lo stile di Capone – scrittrice romana 40enne esperta dell’opera di Burri e dottoranda di ricerca all’Università di Torino sul rapporto fra scienza e letteratura – convincono assai di più.
La condizione di immobilità è dunque colta più come l’occasione per fermarsi a riflettere che come l’inizio di una tragedia impossibile da descrivere. Alla donna protagonista viene meno il corpo giunonico e il suo lato di femmina edonista, ma le rimane il cervello, e grazie a quello riesce ad affrontare la sua nuova realtà a una dimensione. La nostra protagonista scopre così il vero lato degli esseri miserabili di cui si è circondata: un marito anaffettivo ed egoista, un amante vigliacco e strumentale, una baby sitter immatura e stupida.
In mezzo a tanti esseri cinici ed egoisti, solo l’infermiere rumeno, Petru, è capace di comportamenti dignitosi e umani: i suoi gesti, semplici e diretti come le sue parole sgrammaticate, sono l’unico balsamo di una storia in cui nessun adulto si salva, men che meno la donna protagonista, in definitiva consapevole, almeno così ci piace credere, considerato il suo alto livello intellettuale, delle sue scelte formidabilmente fallimentari.
Francesca Romana Capone intreccia il racconto – una piana prima persona narrante – del corpo che pian piano si cura, con il restauro dei dipinti di cui la protagonista si occupava prima dell’incidente. E l’epifania avviene nel momento in cui la nostra donna, in una sopraffina situazione di scopofilia intellettuale, si intuisce per la prima volta come osservata da un quadro che, anni prima, le aveva causato un profondo turbamento. Gli ultimi tre capitoli sono letterariamente altissimi e sono il punto che fa dire al vostro recensore che questo è un romanzo da non mancare, per quanto grondante cupezza e cinismo: qui infatti le riflessioni della donna-tutto-cervello lasciano il passo all’importanza dello sguardo e di cosa vede chi osserva. Qui le pagine cantano. Quel che per la protagonista è un corpo in disfacimento, per il suo infermiere è una rifioritura, una rifioritura da essere ammirata con un senso irenico.
Grande prova letteraria di Francesca Romana Capone, una delle punte di diamante della nuova scuderia Baldini & Castoldi, che però sceglie di giocare sul facile, con una prima persona narrante che si rivela troppo scontata e il rischio, qua e là, di cadere in un femminismo intellettuale di maniera, in cui l’eroina è la tipica donna sedicente più intelligente, più brava, più bella, compiaciuta e desiderata da tutti, mentre intorno a lei ruota un branco di maschi miserabili senza prospettive, né empatia, né spessore.
Il libro sarà presentato a Roma il 5 dicembre alle ore 18.00 presso la libreria “Assaggi” in via degli Etruschi 4. Per i romani e chi passa di là, ci vediamo in libreria.