Alla cena romana di autofinanziamento del Pd del 7 novembre scorso c’era anche Salvatore Buzzi, l’uomo delle mazzette rosse arrestato nell’inchiesta della Procura di Roma che ha svelato l’esistenza di Mafia Capitale? A Bersaglio Mobile, trasmissione di Enrico Mentana andata in onda ieri sera su La7, Matteo Renzi risponde così: “Non ne ho la più pallida idea”. Comunque, il premier assicura che esiste un elenco con gli ospiti paganti al Palazzo delle Fontane dell’Eur. Un elenco che, dopo un mese, ancora non è stato reso pubblico sul sito del Pd. È ancora custodito nei cassetti del tesoriere del partito il deputato renziano Francesco Bonifazi. E, in quei cassetti del Nazareno, continua a restare.

Ilfattoquotidiano.it ha invano contattato  Bonifazi per chiedere se a quella cena fossero presenti anche alcuni dei nomi emersi nell’inchiesta “Mondo di Mezzo” che ha svelato una vera e propria cupola capace di corrompere e infiltrarsi ovunque nei palazzi del potere romano. Silenzio. Ma anche risposte imbarazzate, come quella di Domenico Petrolo, componente della segreteria nazionale del Pd che per l’occasione della cena di fund raising dell’ex Rottamatore, doveva raccogliere tutte le adesioni. Raggiunto al telefono, risponde seccato: “Sono impegnato in una riunione importante, non posso parlare”. Con Matteo Orfini, che in queste 24 ore è stato nominato commissario del Pd romano da Renzi, come risposta all’inchiesta che vede coinvolti alcuni esponenti di spicco del partito della Capitale, la telefonata dura qualche secondo in più, ma la sostanza è sempre la stessa: “Non mi faccia queste domande. Chiedete a Bonifazi, non a me. È lui il tesoriere e ha gli elenchi. Io mi sto occupando di rinnovare il Pd romano”.

E al tesoriere Bonifazi ilfattoquotidiano.it ha continuato, fino alla pubblicazione di questo articolo, a rivolgere sempre la stessa domanda, anche tramite sms. C’era Buzzi alla cena romana del Pd di Renzi? Pubblicherete l’elenco degli invitati paganti? Ancora silenzio. Eppure se fosse confermata la presenza di Buzzi alla cena di Renzi, non si tratterebbe dell’unico indagato. Ce n’è un altro di cui il Fatto ha già scritto. Si chiama Furio Monaco, imprenditore edile. Al Fatto.it racconta di essere stato invitato dal suo amico Domenico Tudini, ex ad di Ama. Il nome di Monaco emerge da un’inchiesta della Procura di Roma per tentata estorsione, in concorso con Riccardo Mancini, ex amministratore delegato di Eur Spa e braccio destro di Gianni Alemanno. Mancini e uno dei 37 arrestati nell’inchiesta “Mafia Capitale”. Secondo l’accusa, Monaco e Mancini, rinviati a giudizio, avrebbero indotto Alessandro Filabozzi, manager del Consorzio cooperative costruzioni, a non presentare ricorso al Tar, per un appalto di circa 200 milioni di euro per la realizzazione del “corridoio filobus Laurentino”, in cui era arrivato secondo. L’impresa aggiudicatrice dei lavori è la Monaco Spa. Filabozzi racconta ai pm di aver partecipato a una colazione di lavoro in cui “Mancini, alla presenza del Monaco mi disse che se mi fossi rivolto al Tar, avrebbe impedito la materiale esecuzione del lavoro”.

C’è un’altra inchiesta nella quale compare il nome di Monaco. È il 1993 e a parlarne è Lorenzo Cesa agli inquirenti di Piazzale Clodio, nell’ambito dell’inchiesta in cui fu condannato a 3 anni, poi prescritto, sulle tangenti Anas da 30 miliardi di lire. Cesa, portaborse dell’allora ministro Giovanni Prandini, racconta di aver conosciuto il giovane Furio Monaco, che gli presenta suo padre, per chiedergli di sbloccare una pratica pendente all’Anas. Per il disturbo – racconta Cesa – “Monaco portò nel mio studio una busta di carta rigida contenente denaro destinato al ministro (…) Penso che la somma si aggirasse intorno ai 15 milioni di lire”.

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