Festejen uruguayos, festejen. Festeggiate uruguayani. Festeggiate perché vostra è la vittoria. Con queste parole – le stesse usate dieci anni fa, all’indomani del suo primo trionfo – il dottor Tabaré Vázquez ha celebrato domenica notte, di fronte ad una Avenida 18 de Julio ricolma di gente, di bandiere e di giubilo, il suo ritorno alla presidenza della Republica Oriental del Uruguay. E non v’è dubbio che proprio questo il suo ostentato “bis” intendesse rimarcare: la continuità d’una esperienza, anzi d’una duplice e convergente esperienza politica.
Quella cominciata nel 1980 quando, con il suo secco “No” nel referendum sulla riforma costituzionale proposta dalla dittatura militare, il popolo uruguayano perentoriamente riaprì le porte ad una democrazia che in passato – prima di morire soffocata come molte altre tra le spire della Guerra Fredda – era stata forse la più istituzionalmente solida dell’America Latina. E che ricominciava allora, al termine d’una lunga notte, a camminare verso nuovi orizzonti. Prima con la fine della dittatura, nell’85. E poi, venti anni più tardi, con la prima vittoria del Frente Ampio, la rottura della gabbia del vecchio bipartitismo blancos-colorados e l’allargamento, finalmente, della sua base sociale.
Questo avevano festeggiato gli uruguayani dieci anni fa. E questo sono tornati a festeggiare domenica sera, con le stesse parole, ma in panorami molto diversi e, per molti aspetti, opposti. Il 31 ottobre del 2004, il dottor Tabaré Vázquez – medico oncologo e uomo politico decisamente anomalo – aveva vinto (con poco meno del 51 per cento dei voti, senza bisogno del ballottaggio), mentre il paese andava faticosamente riemergendo da una lunga e profonda crisi (quella aperta, su scala regionale, dal default argentino del 2001). E la sua presidenza, nata dalla speranza, s’era da subito incontrata con una stagione di crescita destinata a diventare – grazie ad una molto favorevole congiuntura internazionale e, insieme, ad una molto oculata politica economica – tra le più proficue della storia del paese. Domenica scorsa Vázquez ha invece rivinto – e rivinto molto bene, superando, nel ballottaggio, la percentuale ottenuta cinque anni fa da José (Pepe) Mujica – raccogliendo i frutti d’una prolungata bonanza giunta, ormai, al suo capolinea.
Stessa festa, insomma, e stesse parole. Con la sola ma sostanziale differenza che il festejen del 2004 era quello che, per così dire, apriva le danze, mentre quello di domenica scorsa altro non annunciava – volendo restare in metafora – che l’ultimo pezzo eseguito dall’orchestra, la fine del party. Un bel party, di certo. Ed anche, nel caso specifico, una gran bel pezzo, splendidamente eseguito dall’uomo che – a dispetto dalla grande, ma alquanto “folclorica”, visibilità internazionale di Pepe Mujica – dei trionfi del Frente Ampio e della sinistra uruguayana è di fatto il vero artefice.
Nell’89 era stato infatti proprio lui, il dottor Tabaré Vázquez – scelto proprio perché ai margini del mondo della politica, in un momento in cui il Frente appariva particolarmente depresso dalla sconfitta nelle presidenziali dell’84 e da quella, ancor fresca, nel referendum sulla “Ley de Caducidad” – a condurre la coalizione di sinistra alla vittoria nella corsa per la Intendencia di Montevideo (posto secondo, per importanza, solo alla stessa presidenza). Ed era stato proprio lui, da intendente, a dimostrare ad un paese su questo punto alquanto scettico (nelle presidenziali dell’84 il Frente aveva di poco superato il 20 per cento dei voti) che la sinistra è in grado di governare. O, per dirla con Gramsci, di far arrivare i treni in orario. Di più: fu sempre lui, Tabaré Vázquez – formalmente affiliato alla corrente socialista, la cosiddetta “lista 90”, ma di fatto sempre al di sopra delle parti – il principale ispiratore, nel ’94, di quel Encuentro Progresista che, allargando e “moderando” le basi ideologico-sociali del Frente, creò le basi per i trionfi elettorali (trionfi che ancora continuano) del secolo XXI.
Il dottor Vázquez – nato poverissimo e self-made man, medico e imprenditore di successo, presidente d’un vittorioso club calcistico e personaggio di fatto “prestato” alla politica – s”è una volta di più rivelato, in questa sua vittoria “bis”, uno stratega accorto e capace di vedere, con chirurgica precisione, oltre la contingenza della politica. I sondaggi lo indicavano in seria difficoltà di fronte all’evanescente ma molto baldanzosa e “giovanile” sfida del quarantenne Luís Alberto Lacalle Pou, detto el Cuquito, figlio d’arte alla guida del Partido Nacional.
Ma lui non si è lasciato impressionare dal gran fragore dei media. E con la meticolosità di sempre ha percorso in silenzio tutto l’Uruguay “profondo”, quello che quasi mai finisce nel cono di luce dei riflettori, ma anche quello dove più forti sono stati, in questo decennio, gli effetti della politica distributiva, di “crescita con inclusione” praticata dal Frente. Scelta vincente che ha regalato alla sua vittoria margini (un perentorio 48 per cento nella prima ronda) che nessuno aveva pronosticato.
Un gran trionfo. O, per l’appunto, un bellissimo “ultimo pezzo” prima che si spengano le luci della festa. E proprio questa è, in effetti, la vera domanda che, al di là dei “festejen” e degli slogan, si pone ora di fronte al vincitore. Saprà il dottor Vázquez cambiare musica? Saprà adattare alle nuove circostanze la politica d’una forza politica del cui invecchiamento (generazionale e politico) lui stesso – con i suoi quasi 75 anni – è per molti versi un simbolo? Presto lo sapremo.