Dal pop di matrice coreana al vino taroccato che imbarazza il Made in Italy. In scena al Conservatorio di Milano il Bel canto degno di una Callas e di un Pavarotti
Conoscete il fritto di paranza? Io ne vado pazza: di tutto un po’. Comincio dallo GanGnam style, la cavalcata rap di Psy, ha fatto scuola. Partito per prendere in giro il quartiere più snob di Seul, l’equivalente di Beverly Hills con macchinone e avvenenti ragazze griffate, è diventato il capostipite di una nuova ondata musicale che impazza sul web, il KPop, il pop di matrice coreana. All’Idroscalo di Milano si è inaugurato il korean Culture Festival per festeggiare il 130esimo anniversario delle relazioni bilaterali tra Italia e Corea. Almeno qualcuno che ci fila in politica estera.
Al Conservatorio di Milano è andato in scena il Bel canto degno di una Callas e di un Pavarotti. In programma poi una serie di concerti ed esibizioni di band sudcoreane, che ci hanno introdotto al nuovo sound. Gare di TaeKwondo, un po’ momix, con artisti plastici e sensuali, l’arte marziale coreana ha qualche apparizione antesignana nei film di Bruce Lee. Ancora performance di musica tradizionale e di breakdance e, come ciliegina sulla torta, un cooking show da Eataly a cura di chef coreani stellati.
Mi guardo intorno e osservo un pubblico di uomini e donne dagli occhietti a mandorla. Compiti, composti, educati e gentili con tutti, non solo tra di loro. Come sono lontani dai modi dei nostri connazionali, dai nostri talk show, dalle attitudini di un Razzi e razzizzati, da tutto quel nostro urlato senso di protervia, di cui diamo sfoggio continuo, come fosse un vanto. Loro, invece, non si mettono in mostra, fanno il loro lavoro, lontani da casa con passione e con orgoglio, non si lamentano, non invocano interventi dall’alto, non chiedono favori, raccomandazioni. Si impegnano. Instancabili. E sempre sorridenti, quasi timidi, con un piccolo inchino. Forse è in quel chinare un poco il capo che è racchiuso il segreto del successo.
Il vino taroccato intanto invade i mercati e ci fa fare brutta figura. Basta un wine kit, fatto di polverina magica e di mosti concentrati per il vino “frankenstein” fai da te. Basta anche proporre un nome “evocativo” e si scambia Barolla per Barolo, Vinoncella per Valpolicella, un Cantia per Chianti, un Brunino di Montecino per Brunello di Montalcino, è un po’ come fare la banconota da 300 euro e rifilarla ai crucchi. Gaetana Iacono e Mariangela Cambria, signore vignaiole siciliane, con naso da sommelier, in un jardin d’hiver di un’elegante casa milanese danno allora una lectio magistralis sull’orgoglio d’appartenenza a famiglie vinicole di tradizione. Gaetana, laurea in farmacia nel cassetto, è passata in pochi anni da 30mila a 400mila bottiglie. Valle dell’Acate è stata definita “la promessa dell’enologia italiana”. I vigneti Cottanera di Mariangela invece prendono il suggestivo nome dalla pietra lavica dove sono impiantate, a 700 metri su livello del mare, lungo le pendici dell’Etna. E anche chi fosse astemio le troverebbe spettacolari per la vista mozzafiato. Le due signore, con grinta e understatement, sono state scelte come testimonial per “A kind of woman“, di Giò Martorana e Marco Ghiotto, un libro d’immagini dedicato alle eccellenze del made in Italy. Quelle non facili da taroccare.
Parlando di eccellenze, il professore Umberto Veronesi compie 89 anni e si festeggia alla Feltrinelli di Piazza Piemonte di Milano presentando “Il mestiere di uomo“. “Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio”, dice. E la sua ultima battaglia è a favore dell’eutanasia: “Cambiamogli nome. “Eutanasia è un termine demonizzato perché usato dai nazisti. Andrebbe trovata un’altra formula: morire con dignità”, sussurra. Fabio Volo gli fa da relatore, lo coccola, lo guarda con la tenerezza di un figlio. Incrocio il prof. sulla porta, cammina con difficoltà, un po’ curvo appoggiato al suo bastone. Gli vado incontro, mi sorride, mi da la mano. La moglie, sempre calata nel ruolo di muta vestale, mi getta uno sguardo molto infastidita.
Twitter @januariapiromal