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Belgrado: da ‘bambino della guerra’ Slobodan oggi sogna una Serbia normale

Per parlare della sua Belgrado, Slobodan ci porta sulla collina dove sorge il Kalemegda, l’antica fortezza della città che oggi è un parco bellissimo con una vista mozzafiato sulla capitale serba.

Ci sediamo a chiacchierare su un muretto a strapiombo sull’acqua, dove la Sava confluisce nel Danubio, e il panorama effettivamente è notevole. “E’ un posto a cui sono molto legato”, ci dice Slobodan nel suo italiano più che accettabile, condito da un inflessione serba che contribuisce a creare un personaggio interessante.

È nato e cresciuto a Čačak, 140 km a sud da Belgrado, una città dalla storia fiera e orgogliosa, visto che nel corso dei secoli i suoi abitanti si sono sempre ribellati con coraggio e un po’ di incoscienza all’invasore di turno: turchi, austro-ungarici, nazisti. Il basket è lo sport preferito in città, e grandi talenti del calibro di Obradovic, Kicanovic e Misovic sono nati qui.

Guardando Slobodan, in effetti, si può rintracciare tutto il Dna di Čačak: alto, fisico possente, lineamenti serbi ma con una certa armoniosa dolcezza, tanto orgoglio e un amore smisurato per Belgrado. Nonostante tutto, perché Slobodan, o Boban o Bobo, chiamatelo come volete, non fa parte della folta schiera di serbi secondo cui il proprio Paese è perfetto, senza vizi né difetti, vittima soltanto della Storia e dei nemici cattivi che l’hanno preso di mira. Slobodan sa benissimo cosa non va, nella società e nella classe politica, e il suo è un orgoglio critico.

 

Foto credit: Vincent Urbani www.vincenturbani.com

Mente brillante e iperattiva, ha trascorso gli ultimi dieci anni per le vie di Belgrado, tra sonore sbronze di rakija (la fortissima grappa balcanica che da queste parti si fa con le prugne), poesia, impegno civile e tanto studio. Ma nella vita di Slobodan c’è un prima e un dopo, ed è lui stesso ad ammetterlo. Ha 31 anni, quindi all’epoca della guerra in Bosnia non era altro che un bambino.

Ma la realtà provinciale di Čačak stava stretta al suo spirito libero. E allora, dieci anni fa, si tenta l’avventura a Belgrado. Amore a prima vista, ovviamente, per un ragazzo che aveva sempre sognato di trasferirsi nella capitale, per studiare, crescere, vivere. All’università aveva scelto la facoltà di Scienze Politiche, e il perché è molto interessante, oltre che indicativo del personaggio: “La politica serba era pessima, il paese era sempre in crisi, e io non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che la Serbia non riuscisse mai a cambiare. Volevo capire come funzionava la politica”.

Oggi è un project manager freelance, ma Slobodan ha un passato da poeta. Quasi per caso, anni fa, era entrato in contatto con un gruppo di avanguardisti belgradesi che in un piccolo appartamento avevano cominciato a poetare. La cosa l’aveva stuzzicato, e come in ogni cosa che fa, era riuscito ad eccellere. Testa dura serba, giusto per alimentare un altro cliché. Era diventato così bravo da vincere anche un concorso nazionale importante di slam poetry, ma oggi non azzardatevi a chiamarlo poeta: “Se fai poesia, sei poeta. Se smetti, non lo sei più. E io sono anni che non compongo più nulla”.

Slobodan è tornato a Belgrado con noi, per aiutarci a raccontarla, ma adesso vive a Imola, nella ricca Emilia Romagna. Decisione ragionatissima, che ha preso con moglie Sara, interprete e traduttrice abruzzese conosciuta in Serbia: Sara era incinta e Belgrado non è la città ideale, oggi, dove far crescere un bambino.

Nel frattempo il bimbo è nato, si chiama Viktor ed è una meraviglia della natura. Ha solo un anno, ma cammina da quattro mesi e mostra i primi segni di una curiosità straripante. Sono i geni del padre, spirito libero e inquieto che dalla provincia serba è sbarcato a Belgrado, immergendosi con passione e trasporto nella vita vibrante della città, e oggi ha scelto la zona più ricca d’Italia (e soprattutto quella con il welfare migliore) per farci crescere suo figlio. Perché va bene l’idealismo, va bene la vita bohemien delle avanguardie serbe, ma si arriva a un certo punto della vita in cui il senso di responsabilità spazza via tutto il resto. È tipicamente serbo anche questo, a quanto pare.